Accordo Stato-Regione: cosa si cela dietro il disavanzo

Accordo Stato-Regione: cosa si cela dietro il disavanzo
Nella seconda settimana di gennaio è stata siglata l’intesa tra Stato e Regione Siciliana per «spalmare» in 10 anni il disavanzo della Regione di 1,740 miliardi relativo al rendiconto 2018.

L’accordo – che stabilisce una serie di interventi che la Regione si impegna ad adottare per ridurre la spesa corrente – era quanto si attendeva per votare l’esercizio provvisorio e sbloccare le casse regionali. La sua firma ha subito acceso il dibattito politico intorno alla gestione delle casse regionali.

Cosa comporta questo accordo? A chi è imputabile questo disavanzo?  Di cosa si tratta esattamente? Come si è venuto a creare? Procediamo con ordine.

 

L’accordo Stato-Regione

Quello siglato il 12 gennaio da Musumeci è un accordo che l’attuale governo regionale attendeva da tempo. L’iter era stato avviato a dicembre 2019 ed è stato concluso a quasi un anno di distanza.

L’accordo si articola in 7 punti e contiene, come allegato, una tabella riassuntiva che riporta la riduzione annua della spesa corrente destinata al ripiano del disavanzo. Si parte da una riduzione alla spesa di 40 milioni per il 2021 fino ad arrivare a una riduzione di 300 milioni per il 2029. A eccezione di alcuni capitoli di spesa esplicitamente esclusi dalle misure, come la sanità o il contributo regionale alla finanza pubblica, l’accordo prevede una serie di interventi la cui entità degli effetti è riportata nella tabella.

Il concordato sembrerebbe delineare una spending review molto rigida: razionalizzazione delle partecipate, chiusura delle procedure di liquidazione degli enti e delle società in via di dismissione, adeguamento al taglio dei vitalizi operato a livello nazionale, recepimento della normativa statale riguardante il lavoro agile, riorganizzazione e snellimento della struttura amministrativa regionale. E ancora: la tanto attesa riforma dei consorzi di bonifica, degli altri enti del GAP e dei forestali, la razionalizzazione degli spazi dedicati agli uffici pubblici, digitalizzazione, blocco del turnover dei dirigenti. Per riuscire a rientrare nelle quote annuali stabilite, la Regione dovrà adottare ulteriori misure di contenimento o di riqualificazione della spesa.

Lo Stato effettua un’opera di monitoraggio costante sul rispetto dell’accordo tramite l’istituzione di un apposito tavolo Stato-Regione, al quale due volte l’anno va trasmessa una certificazione di verifica, e che monitora le finalità a cui vengono destinati investimenti statali, regionali e risorse europee. In caso di mancata riduzione della spesa secondo i termini previsti viene meno il regime di ripiano pluriennale straordinario e il disavanzo dovrà essere ripianato secondo i tempi ordinari.

Operare un taglio annuale e progressivo che va dai 40 milioni ai 300 milioni annui, per una regione dalle già magre casse, lascia presagire misure di austerity che vanno ben oltre la spending review. Ma certo, un debito rimane tale e va onorato. Siamo sicuri però che si tratti di un debito vero e proprio? Non volendo togliere alcun demerito ai governi regionali, siamo sicuri che il disavanzo derivi dalle “spese pazze” della Regione?

 

Cosa si cela dietro il disavanzo?

Si parla di disavanzo di bilancio quando il risultato differenziale tra le operazioni di entrata e di spesa complessiva è negativo. Si va quindi in disavanzo quando le uscite superano le entrate. Questa definizione ci dice, molto semplicisticamente, che ci sono due modi per mandare i conti regionali in rosso: tramite eccessive spese, oppure, tramite minori entrate.

E la Regione Siciliana ha, in effetti, qualche problema di entrate. Secondo quanto previsto dallo Statuto di Autonomia, la Sicilia si finanzia con i redditi patrimoniali propri e tramite l’integrale attribuzione dei tributi maturati sul suo territorio, fatta eccezione per le imposte di produzione e per i monopoli esplicitamente riservati allo Stato.

La questione delle entrate tributarie della Regione ha causato non pochi contenziosi dinanzi alla Corte costituzionale, in quanto il gettito dei tributi maturati in Sicilia non è di fatto mai entrato integralmente nelle casse regionali. Per approfondire il tema, clicca qui.

Durante la scorsa legislatura, il governo Crocetta ha ben pensato di sottoscrivere un paio di accordi Stato-Regione con i quali si stabilisce la definitiva ripartizione dei gettiti IRPEF e IVA tramite una divisione in decimi. Se per Statuto alla Regione Siciliana spetterebbero i 10 decimi di entrambi i tributi, a partire dal 2018 la Regione incassa i 7,10 decimi dell’IRPEF e i 3,63 decimi dell’IVA. Facendo un paragone con le altre Regioni a Statuto Speciale, la svantaggiosità dell’accordo appare evidente. Utilizzando il sistema dei decimi, alle altre Regioni a Statuto spettano in media i 7 decimi dell’IVA (in alcuni casi, come quello della Valle d’Aosta, viene attribuito l’intero gettito).

Facciamo un esempio. Secondo il rendiconto 2018, le entrate provenienti dall’imposta sul valore aggiunto ammontano a 1.980.651.971,76 euro. Queste rappresentano i 3,63 decimi dell’IVA riscossa in Sicilia. Se la Sicilia ne riscuotesse 7 decimi, la cifra salirebbe a 3.819.493.062,54 euro, ovvero 1.838.841.090,78 euro in più in entrate. In pratica, se la Sicilia riscuotesse anche solo i 7 decimi dell’IVA (che teoricamente è integralmente di sua spettanza), nelle casse regionali entrerebbe ogni anno più di quel miliardo e 740 milioni di disavanzo che la Regione si ritrova a dover pagare. Altro che «spalmatura» in 10 anni!

Non solo, ma con quell’accordo il governo Crocetta cancellò tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti in materia di finanza pubblica promossi dalla Regione Siciliana prima del 31 dicembre 2015, rinunciando quindi agli effetti positivi delle sentenze che sarebbero derivati da eventuali pronunce di accoglimento.

 

Lo Stato salva solo i suoi interessi

C’è poi un’altra cosa che il governo Crocetta cancellò durante la sua legislatura: ben 5 miliardi di residui attivi che lo Stato doveva alla Regione. I residui attivi altro non sono che le somme accertate, ma non incassate entro il termine dell’esercizio (crediti); mentre con residui passivi si intendono quelle somme impegnate, ma non ancora pagate entro il termine dell’esercizio (debito). Se l’importo dei residui attivi eliminati o ridotti è  superiore a quello dei residui passivi, la gestione dei residui genera un disavanzo.

Il decreto legislativo 118 del 2011, riguardante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, ha portato a fare un riaccertamento dei residui. Con la scusa del riaccertamento, la Deliberazione della Giunta regionale n. 204 del 10 agosto 2015 ha cancellato 5 miliardi di crediti dello Stato verso la Regione dichiarandoli “inesigibili”.

Si trattava di crediti certificati dalla parificazione della Corte dei Conti poche settimane prima, quando era stato approvato il rendiconto del 2014. Ma un credito è inesigibile quando è altamente improbabile che potrà essere pagato dal debitore; se il debitore è lo Stato di certo non sussiste alcun problema di esigibilità. Se da un anno all’altro spariscono 5 miliardi di crediti, il disavanzo diventa subito evidente.

 

L’enorme disavanzo della Regione Siciliana

Da allora il disavanzo della Sicilia si è fatto insormontabile, arrivando oggi alla quota di 7 miliardi e passa.  Un disavanzo che è solamente contabile; un numero puro dietro al quale non si cela alcun debito reale.

Insomma, Musumeci dice bene quando attribuisce la colpa dell’attuale disavanzo alla «gestione allegra» dei precedenti governi regionali, ma dimentica di dire che allegri sono stati i rapporti che hanno intrattenuto con lo Stato. Allegri chiaramente per loro, di certo non per i siciliani che si ritrovano a dover subire gli effetti di una politica regionale sottomessa alle angherie del governo centrale.

Con questo non vogliamo affermare che la gestione degli scorsi governi sia stata encomiabile, ma che la malapolitica non passa solo dalle “spese pazze”, ma pure da una totale mancanza di volontà nel salvaguardare il benessere delle casse siciliane. A ogni nuovo accordo, lo Stato si insidia sempre di più nelle politiche regionali a discapito delle finanze locali. Durante la scorsa legislatura, quando si diede vita alle politiche di cui sopra, Roma aveva mandato i suoi commissari per vigilare sul bilancio regionale. E questo è il risultato.

Per il nuovo accordo non c’è stato bisogno di mandare nessuno, perché l’attuale governo si è dimostrato più che collaborativo. Ripianare il disavanzo in 10 anni non è di certo una vittoria: il problema delle finanze regionali permane. Se non che, adesso, il bilancio regionale si presenterà ancora più asfittico a causa del fardello del ripiano del disavanzo pregresso, mentre la spesa per investimenti o per spese non obbligate, già misera, scenderà paurosamente.

 

 

 

 

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