Fuori la guerra dai territori!
Ci stanno raccontando una favola pericolosa: quella che le armi portino sicurezza e benessere. Mentre le tensioni globali aumentano, gli Stati e le loro coalizioni cercano sempre più di convincerci che un massiccio riarmo sia l’unica via. La verità è un’altra: la corsa agli armamenti non solo non protegge nessuno, ma sta già divorando le risorse essenziali per la nostra vita quotidiana e trasformando i nostri territori in piattaforme di guerra.
Ci vogliono convincere che il riarmo porta sicurezza, che migliorerà le nostre condizioni di vita e invece…
La proposta di destinare il 5% del PIL (Prodotto Interno Lordo) alle spese militari, che si avvicinerebbe a quasi 100 miliardi di euro annui, non è un semplice aggiustamento di bilancio. È una scelta politica devastante. Questi fondi vengono sottratti direttamente alle comunità. Si tratta di miliardi sottratti alla sanità pubblica, con liste d’attesa sempre più lunghe e ospedali al collasso; all’istruzione, con scuole fatiscenti e personale sottopagato; alla messa in sicurezza dei territori, in un paese fragile e costantemente minacciato dal dissesto idrogeologico. Ci viene chiesto di sacrificare tutte le esigenze più reali e concrete che le comunità e i territori esprimono in nome di una presunta “sicurezza”, costruita su bombe e carri armati. La narrazione del riarmo come volano di “benessere” e “sviluppo” è evidentemente una menzogna. Ogni euro speso in un cacciabombardiere F-35 è un euro sottratto a un letto d’ospedale, a un’aula sicura.
Le basi Nato vanno chiuse. Subito!
La militarizzazione non è un concetto astratto; essa ha una presenza fisica e ingombrante nei nostri territori. La Sicilia ne è un esempio lampante. Basi militari come Sigonella e il MUOS sono centri nevralgici delle operazioni militari della NATO nel Mediterraneo. Tramite questi sistemi di comunicazione e supporto logistico, la nostra isola viene utilizzata come trampolino per interventi militari e per sostenere operazioni belliche in aree di crisi, come quelle che alimentano il genocidio del popolo palestinese. Un esempio è la Naval Air Station Sigonella, una delle principali basi logistiche e di sorveglianza della marina statunitense all’estero. È lì che vengono ospitati i droni “Global Hawk” e gli aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon, capaci di sorvegliare vaste aree del mare e della terra. Inoltre, benché le operazioni specifiche siano spesso coperte da segreto militare, è noto che le basi in Sicilia forniscano supporto logistico e di intelligence a tutte le operazioni statunitensi e NATO nella regione. Questo include il monitoraggio delle rotte navali, la sorveglianza aerea e il supporto alle flotte militari che operano nel Mediterraneo orientale, aree direttamente connesse a ciò che sta avvenendo in Palestina.
Non è un caso, inoltre, che sempre di più la propaganda militarista attraversi le nostre città: solo ieri, 29 settembre, un treno carico di carri armati PUMA sfrecciava nel centro città di Catania o che dal 2 ottobre al 5 Palermo – precisamente al Politeama – ospiterà il villaggio dell’Esercito Italiano con esposti aerei della Leonardo Spa.
Non è possibile continuare ad accettare che la Sicilia sia complice silenziosa di guerre e genocidi. Le basi NATO devono essere chiuse subito, per restituire il territorio ai suoi abitanti e liberarlo dalla servitù militare.
Il lavoro serve per campare, non per fare la guerra
Ci viene detto che l’industria bellica crea posti di lavoro e sviluppo. Ma che tipo di sviluppo è quello basato sulla produzione di strumenti di morte? Aziende come Leonardo S.p.A. e Fincantieri sono tra i primi 100 produttori di armi al mondo, con fatturati miliardari derivanti dall’esportazione di armamenti. Questo modello economico ha un marchio di guerra e ci rende complici dei conflitti che insanguinano i territori. Il lavoro di cui c’è bisogno deve servire a creare benessere collettivo: non possiamo più sottostare a un’economia che prospera sulla distruzione e sulla sofferenza di altri popoli. È tempo di invertire la rotta.
Il Ponte sullo Stretto: la Grande Opera giustificata dalla Guerra
In questo clima di riarmo, anche le grandi opere inutili trovano una nuova giustificazione. Il Ponte sullo Stretto di Messina, un progetto devastante dal punto di vista ambientale ed economico, è stata presentata come un’infrastruttura “strategica” in ambito NATO. Si tenta di legittimare un enorme sperpero di denaro pubblico – che potrebbe essere usato, ad esempio, per migliorare la mobilità interna della Sicilia e della Calabria – con la scusa della sua utilità militare. Questa è l’ennesima beffa per gli abitanti. Contro questa logica, che impone scelte calate dall’alto in nome di interessi militari ed economici estranei alle comunità locali, dobbiamo imporre le nostre decisioni su come gestire e sviluppare i nostri territori. La decisionalità deve tornare nelle mani di chi li abita ogni giorno.
Rifiutiamo la logica della guerra e della militarizzazione che impoverisce le nostre vite e rende i nostri territori complici. Vogliamo investimenti per la sanità, l’istruzione, le reali necessità.
Vogliamo la guerra fuori dai nostri territori!
