Il virus del Ponte

Il virus del Ponte

di Luigi Sturniolo

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un vero e proprio profluvio di dichiarazioni a favore del Ponte sullo Stretto. Da 20 anni almeno non si assisteva a un tale schieramento. Il quadro politico nazionale ha una sola voce. Ed è favorevole.

Solo i Cinquestelle esprimono una resistenza, ma è timida, spaventata, più formale che convinta. La sensazione è che se si manifestasse l’occasione del protocollo TAV (tutti votano a favore e loro contro e si decide per il Sì) di certo non farebbero saltare il Governo. Anche nel PD c’è qualche voce contraria, ma in generale l’orientamento sembra favorevole. Il No al Ponte, insomma, pubblicamente è quasi sparito. Si cela nella considerazione che «tanto periodicamente ne parlano, ma non lo faranno mai».

Il movimento No Ponte

Il movimento No ponte nasce come mobilitazione indipendente da una valutazione costi-benefici. Questa scelta è stata per una decina di anni ragione di militanza per tanti attivisti, non solo dell’area dello Stretto. Per i sostenitori dell’opera questa è una posizione ideologica. Ma, tanto, per loro o sei ideologico o benaltrista!

Si tratta, al contrario, di una posizione ontologica, che ha a che fare con ciò che naturalmente, paesaggisticamente, è lo Stretto di Messina, con ciò che storicamente è la Sicilia.

 

Essere Isola

La Sicilia è un’isola e l’essere tale non comporta l’essere isolati, né impedisce il suo sviluppo economico, sociale, culturale. Per secoli si è trovata al centro dei commerci proprio in ragione della sua collocazione geografica. E questo l’ha portata addirittura a essere rappresentata nelle carte del tempo più grande di quanto in realtà non fosse.

L’essere isola e l’essere in quel punto lì l’ha portata a generare una identità meticcia, fatta delle tante popolazioni che l’hanno attraversata e lì si sono mescolate. Tale identità è avvalorata dall’inequivocabile sensazione di sentirsi in Sicilia, avvertirla attraverso i suoi scenari, i suoi colori, i suoi profumi. Tutte sensazioni che vengono rievocate dalla letteratura siciliana, dalla sua arte, dai suoi monumenti, dalla filmografia ambientata sull’isola. Le dimensioni geografiche e demografiche consentono, peraltro, fortemente, il venire alla luce di queste peculiarità. Il mancato sviluppo economico, insomma, non ha nulla a che vedere con l’essere isola della Sicilia. Semmai, se ne possono rintracciare le ragioni storiche e le responsabilità politiche.

Il Ponte sullo Stretto, sebbene ammantato da una vena di modernizzazione del territorio rappresenta, al contrario, una battaglia di retroguardia. Piuttosto che collocare i nostri territori nel punto avanzato della storia collocherebbero anche questi tra le espressioni di un mondo ormai insostenibile. Le tante crisi ecologiche e sanitarie nelle quali siamo immersi ci dicono quanto sia pertinente quello iato aperto tra tempi biologici e tempi meccanici (espressione utilizzata nel pieno della crisi del Covid-19), tra capacità produttive e sostenibilità ambientale.

 

Il Ponte sullo Stretto è un tuffo nel baratro

Il Covid-19 ha messo a nudo le fragilità di un sistema produttivo basato sull’allargamento incessante della sfera della produzione e del consumo, un meccanismo che, semplicemente, il pianeta non riesce più a contenere. Ha colpito al cuore il motore di questo sistema: la metropoli. Il Covid-19 ha messo in discussione un assunto ritenuto, prima della diffusione della pandemia, indiscutibile: il processo di velocizzazione. Ecco, il Ponte sullo Stretto è contenuto dentro il paradigma di un mondo che muore, incapace di smaltire i propri scarti e accettare i propri limiti. Non è il salto nel futuro, è il tuffo nel baratro. Non è la soluzione al mancato sviluppo dei nostri territori, è la causa del loro destino di distruzione.

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