I mercati siciliani: tradizioni che resistono

I mercati siciliani: tradizioni che resistono

Vogliamo continuare il nostro viaggio regalandovi scene di vita comunitaria, riproponendo suoni e rievocando odori: vogliamo portarvi in giro per i mercati della nostra Isola.

Da Palermo con Ballarò, il Capo e la Vucciria nel centro storico e fuori le mura al Borgo vecchio di S. Lucia, fino a Catania con il mercato del Carmine detto Fera ô Luni e la millenaria Pescheria, e ancora da Caltanissetta con il mercato ortofrutticolo Strata ã foglia, nell’antico quartiere dei Fogliamara, raccoglitori di erbe selvatiche, fino a Siracusa con l’antica Piscaria di Ortigia; e poi Trapani e Marsala con le Chiazze.

I mercati: tradizioni che resistono

I mercati Siciliani affondano le loro radici in un lontano passato e oggi resistono a ogni tentativo di trasformazione delle città dovuto a principi di modernizzazione e globalizzazione che spingono verso l’eliminazione delle tipicità che rendono speciali un territorio e verso l’abbandono delle tradizioni popolari.

Ogni giorno, in luoghi ben precisi di piccoli e medi centri urbani dell’Isola, i mercati storici si snodano tra vicoli e viuzze, con un’architettura effimera fatta di banchi all’aperto per l’esposizione delle merci, tendaggi colorati e ombrelloni, lampadine e immagini devote.

Il giro tra le bancherelle del mercato è una vera e propria esperienza sensoriale le cui tappe sono le voci dei venditori e il brusio della folla di compratori, i colori della frutta e verdura fresca di stagione e gli odori derivanti dalle carni esposte all’aperto, dal pesce disteso sui banconi di marmo, dai prodotti conservati sotto sale, dalle spezie e dalla cucina di strada.

In particolare, le grida dei venditori sono legate alla cultura della declamazione orale, tradizione che rimanda a un passato non troppo lontano della Sicilia. Fin quando l’uso e la diffusione della carta stampata erano limitati alla ristretta cerchia dell’aristocrazia terriera e della nascente borghesia urbana, la trasmissione del sapere per la gran parte della popolazione restava affidata all’oralità. Ricordiamo, ad esempio, quando gli avvisi ufficiali e i principali avvenimenti per la comunità venivano emessi oralmente da araldi e banditori municipali al ritmo di tamburo. Il tammurinaru, in particolare, associando il suo grido alla percussione dello strumento musicale, diveniva un esperto della retorica ritmica.

Legata a questo tipo di tecnica di apprendimento e trasmissione, vi è la funzione dei cantastorie, immancabili protagonisti delle fiere, i quali, muniti di cartelloni illustrativi, narravano fatti di cronaca realmente successi o romanzati, accompagnati dalla musica.

Le abbanniate

La particolare tecnica vocale che si ritrova ancora oggi nelle abbanniate dei venditori, dovette in origine conformarsi a tali modalità della comunicazione orale, basata su una certa enfasi del ritmo che serviva proprio ad attirare l’attenzione della gente. Si tratta di un linguaggio particolare, in cui prevale il ricorso a figure retoriche quali la metafora, ad esempio l’abbanniata delle fave, in uso al Capo di Palermo, che associa le qualità del legume ai cannameli, dolci di pasta di miele, per richiamarne la dolcezza. Oppure le grida di richiamo – oggi scomparse – sui particolari pregi del peperone, dalla consistenza migliore della carne, in un epoca in cui, data la povertà, la carne veniva considerata un privilegio raro. Sempre al mercato del Capo, i migliori vantaggi dell’uva bianca ricordano i riccioli d’oro delle chiome femminili, come anche il consumo degli spinaci rievoca la forza di Braccio di Ferro, per l’influsso del linguaggio dei fumetti e dei cartoni animati televisivi. In altre circostanze, si ricorre alla metonimia, indicazione di una parte per il tutto – u culuri cci a taliari – oppure all’iperbole, esagerazione smisurata delle proprietà e dimensioni della merce. Nei pressi della fera ô Luni di Catania, un vecchio banditore di ortaggi e verdure, per attirare l’attenzione della gente, declama le qualità della zucchina associandole a quelle del fallo maschile.

Tra i venditori inoltre si instaura una vivace – e a volte simpatica – concorrenza che li porta a fare a gara, attraverso l’uso delle abbanniate, a chi riesce a coinvolgere più clientela possibile, creando un meccanismo di botta e risposta.

U riffaturi

Un’altra figura caratteristica, principalmente dei mercati di Palermo, è lu riffaturi, avvolto anch’egli da un rumore inconfondibile. Con una valigetta e gridando numeri dell’estrazione per attirare ad ampio raggio la clientela, u riffaturi si cimenta nella riffa, una sorta di lotteria ambulante di quartiere. La più nota è la riffa ra spisa che consiste nell’assegnare ai partecipanti del gioco, come premio del sorteggio finale, una cassetta di pesce, generalmente di pregio come i gamberoni.

La sonorità di tipo tradizionale oggi rimane prevalentemente circoscritta all’universo dell’antico mercato urbano che funge, malgrado tutto, da deposito della memoria. Una memoria che vogliamo preservare, coltivare e rivivere nella semplice quotidianità.

Fonte: Sorgi Orietta in Mercati storici siciliani.

Foto: Alessandro Romano

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