Scuola in Sicilia: lo svuotamento delle classi, la migrazione delle famiglie, l’esodo dei docenti.

Scuola in Sicilia: lo svuotamento delle classi, la migrazione delle famiglie, l’esodo dei docenti.

Da tre anni, ad ogni avvio di anno scolastico corrisponde un esodo di docenti precari costretti a lasciare il meridione per trasferirsi al nord in cambio di un posto fisso. Il prezzo da pagare è la precarietà di vita per un tempo indefinito che nel migliore dei casi riguarderà “solo” qualche paio di anni. Una vera e propria transumanza che a partire dal 2015 coinvolge decine di migliaia di docenti ogni anno, prevalentemente donne.
Perché oggi questi docenti parlano di deportazione? Forse perché una legge iniqua ha inventato meccanismi macchinosi, mai utilizzati prima? Cambiando le regole del gioco, mentre si giocava, hanno inventato le fasi 0 e A, a cui era riservato un certo numero di posti, una fase B, che utilizzava i posti rimasti dalle precedenti, e una fase C, che metteva insieme tutte le sedi d’Italia con un meccanismo che ancora oggi il ministero (prima la Giannini, ora la Fedeli) non ha messo in trasparenza, creando corsie differenziate tra vincitori dei nuovi concorsi e vincitori di vecchi concorsi con anni di precariato sulle spalle.
Il bilancio, per la Sicilia, tra chi rientra e chi parte è tutto sbilanciato verso l’emigrazione come ci dicono i dati forniti dalla FLCGIL regionale per l’anno scolastico 2015/16 :
– nella Scuola Primaria su 5.841 movimenti, 1.121 sono in entrata e 4.720 sono in uscita. Su 4.720 docenti in mobilità fuori regione, solo il 9% ha potuto scegliere la destinazione.Il 91% è stato obbligato a trasferirsi fuori dalla regione di nascita (fase C)
– nella Scuola Secondaria di I grado, su 3.184 movimenti, 1.402 sono in entrata e 1.782 sono in uscita. Su 1.782 docenti in mobilità fuori regione, solo il 26% ha potuto scegliere la destinazione. Il 74% è stato obbligato a trasferirsi fuori dalla regione di nascita (fase C/D)
– nella Scuola Secondaria di II grado, su 6052 movimenti, 2.836 sono in entrata e 3.216 sono stati costretti a partire. Su 3.216 docenti in mobilità fuori regione, solo il 10% ha potuto scegliere la destinazione. Il 90% è stato obbligato a trasferirsi fuori dalla regione di nascita (fase C/D)
In totale su 15.075 movimenti, 5.359 sono in entrata e 9.718 sono stati costretti a partire.
Su 9.718 docenti in mobilità fuori regione, solo il 13% ha potuto scegliere la destinazione.
L’ 87% è stato obbligato a trasferirsi fuori dalla regione di nascita (fase C/D).
Un meccanismo buono solo a delineare fratture interne a un corpo sociale e un livello di competitività tra chi ha più diritto di tornare e chi invece deve rimanere esiliato: “vita mea mors tua”!
E se invece ci fosse la possibilità per tutti di ritornare alla propria terra?
Forse, basterebbe semplicemente adottare delle misure mirate; un primo passaggio significativo sarebbe la trasformazione dell’Organico di Fatto a quello di Diritto che metterebbe a disposizione migliaia di cattedre in più, passando al conseguimento dell’abilitazione sul sostegno per i docenti precari, visto che i docenti meridionali per anni hanno lavorato sui tali posti senza titolo di specializzazione. In ultima battuta, indispensabile l’attuazione del tempo pieno al Sud come al Nord. Proviamo a guardare qualche dato. Il tempo pieno al Sud ancora non esiste: tra le prime dieci province più scoperte solo una (Aosta) è al Nord le altre sono al Sud (Ragusa, Trapani, Teramo, Reggio Calabria, Palermo, Agrigento, Campobasso, Catania, Frosinone). In Molise le percentuali di classi con il tempo pieno sono il 7,6%; in Sicilia l’8,1%; in Campania l’11,2% mentre in Lombardia, Toscana e Lazio si supera il 40% (dati “Atlante dell’infanzia”, Save The Children).
Il principale motivo della mancanza di cattedre in meridione è però da rintracciarsi nello storico degli investimenti e dei tagli fatti alle Regioni già a partire dal governo Berlusconi, quando ministro era la Gelmini.
Se guardiamo ai dati che riguardano la Sicilia infatti, dal 2008 al 2011 ci sono registrati 25.217 alunni in meno, una diminuzione a cui avrebbe dovuto corrispondere una sforbiciata di 1.500 docenti. Invece l’allora ministro Gelmini ha tagliato ben 10.113 cattedre e 5.017 ATA. Posti di lavoro che adesso vengono a mancare.
Inoltre, dal 2007 al 2011, i soldi alla scuola siciliana sono diminuiti del 66%.  Nel 2007 erano 129 milioni, nel 2011 appena 49.
Gli organici del 2014 hanno visto un ulteriore spostamento di cattedre che ha riguardato tagli in regioni come la Sicilia fino a 500 cattedre ed incrementi in Lombardia fino a 400.
Non diversa la situazione del sostegno, che ha visto tagli agli organici del 2014 con la punta incredibile del –10% nella sola Sicilia. A sparire, quindi, non sono solo gli studenti, ma anche le cattedre, senza alcun reale legame con l’andamento demografico.
Negli anni scolastici dal 2007/08 al 2016/17 gli alunni siciliani sono passati da 819.001 a 751.562, cioè in quasi 10 anni mancano all’appello 67.439 studenti, 11.605 in meno rispetto al 2015/16.
Un calo oggettivo, ma che riguarda la scuola dell’infanzia per appena 5.260 alunni, mentre il calo maggiore si riscontra soprattutto negli altri due ordini di scuola.
Calo demografico? No, piuttosto il risultato di un fenomeno migratorio di interi nuclei familiari, che vanno via, quando i figli sono già un po’ più cresciuti e possono partire con i genitori che migrano verso il nord per un posto di lavoro.
Un piano di svuotamento del meridione che si sviluppa con un effetto domino incontrollabile, mentre nel 2016 il Parlamento italiano cancellava, con voto di fiducia, 8 miliardi di debiti che l’Italia ha nei confronti della Sicilia, cui segue una richiesta di pareggio di bilancio che costerà ulteriori tagli ai servizi.

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