Lentini, assemblea della Rete dei comitati territoriali: ruolo e prospettive.

Lentini, assemblea della Rete dei comitati territoriali: ruolo e prospettive.

Domenica, 8 aprile, a Lentini, si è svolta l’assemblea della Rete dei Comitati territoriali siciliani. Erano presenti undici realtà. Informazioni sull’incontro si trovano nella pagina facebook della Rete, ovvero qui.
Ma la discussione ha posto come urgente la riflessione sul ruolo e le prospettive dei Comitati territoriali.
I Comitati Territoriali: ruolo e prospettive
Da cosa e perché sono nati i nostri comitati? Di fatto i nostri comitati sono nati dal sentimento e dalla volontà di voler resistere a quelle che si ritengono delle sopraffazioni, dei soprusi a cui gli enti preposti a tutelare gli interessi dei cittadini e dei territori ed in primo luogo le amministrazioni comunali non hanno saputo far fronte per indifferenza o per ignoranza o spesso perché direttamente conniventi. Sei noi avessimo una mappa della Sicilia (che speriamo di produrre presto) su cui segnare i luoghi attaccati da politiche distruttive della salute e dell’ambiente, ci accorgeremmo di quanto drammaticamente esteso è questo attacco fatto di discariche, inceneritori, centrali a “bio”gas o a “bio”massa, privatizzazione dell’acqua, inquinamento da petrolchimici, trivellazioni, speculazioni edilizie e così via sino ad arrivare agli impianti come il MUOS di Niscemi o alla militarizzazione di parti dei nostri territori come sta avvenendo a Punta Izzo ad Augusta. Ci renderemmo conto, insomma, che non si tratta di episodi isolati, ma dell’affermarsi di una precisa concezione dei territori e dell’imporsi di un preciso modello di sviluppo.
La concezione che va affermandosi è quella che considera territori e abitanti unicamente come risorse economiche da mettere a profitto ed il “modello di sviluppo” che ci stanno imponendo è quello dello “sviluppo” sporco e predatorio.
I comitati, in breve, non si scontrano solamente contro episodi particolari di infrazioni normative, violazioni di leggi o il malaffare di qualche speculatore o gruppi di affaristi a cui è semplicemente possibile opporsi legalmente. I comitati si scontrano con scelte politiche ed economiche imposte dai poteri centrali ed improntate al “profitto in primo luogo” e con concezioni culturali utilitaristiche favorite e veicolate dalle “istituzioni educative” e dalla maggior parte dei media. La questione quindi è essenzialmente politica e culturale. È politica perché ci mette di fronte al problema fondamentale di chi decide nei territori ed è culturale perché ci costringe ad affrontare, a partire da noi stessi, i modelli culturali dominanti del consumo di massa, del dilagante egoismo, dell’indifferenza sociale e del profitto ad ogni costo.
I Comitati territoriali, quindi, debbono necessariamente aver chiaro che nella lotta contro una discarica così come contro i progetti ENI di trivellazione o quelli dell’inceneritore dell’A2A o l’inquinamento da petrolchimico o il MUOS di Niscemi, si stanno confrontando con il sistema di relazioni sociali, economiche e politiche dominanti. Si stanno confrontando con le logiche dei poteri centrali, si confrontano con la “ragione di Stato” che inventa e poi si muove sulle continue “emergenze” e che vorrebbe costringerci a sottostare a ogni sorta di ricatto: da quello del “lavoro che non c’è”, per cui è lecita ogni forma di sfruttamento del lavoro, a quello “dei rifiuti che sovrapproduciamo” per cui ogni forma di smaltimento è lecita.
La posta in gioco è quindi molto alta e investe problematiche e contraddizioni che vanno molto oltre le concrete possibilità dei singoli comitati territoriali o della stessa Rete che stiamo costruendo. Però é proprio a partire da queste lotte e dai comitati che le organizzano che si costituiscono e definiscono i contenuti della transizione a un nuovo e diverso modo di produrre e di consumare, di relazionarsi e di agire in comune.
Abbiamo scritto sul volantino per la manifestazione contro l’inceneritore della Valle del Mela che “L’unica opposizione reale all’arrogante dispotismo dei poteri centrali è oggi rappresentata dai movimenti che si ribellano, si organizzano e lottano in difesa dei territori per riappropriarsi del proprio futuro e difendere la propria vita”, ma è anche vero che se questa opposizione non si struttura, non si allarga a tutte le problematiche che investono i territori e se soprattutto non diventa propositiva, rischia di rimanere minoritaria e di esaurirsi sui tempi lunghi. Divenire opposizione propositiva significa che oltre a sapere organizzare il NO occorre imparare a organizzare, praticare e lottare per ciò che riteniamo rappresenti l’alternativa. Se è a un altro tipo di economia che pensiamo, se sono altre le istituzioni popolari che vogliamo, occorre imparare a proporle e nei limiti del possibile a praticarle sin da oggi, anche se simbolicamente, anche se ancora in forme appena abbozzate. I Comitati possono e debbono essere gli elementi attivi di una nuova cittadinanza, di una nuova politica dell’abitare.
Occorre rendersi conto, infatti, che il crollo delle istituzioni che si muovevano sul terreno della rappresentanza dei diritti è ormai avvenuto. Che queste istituzioni sono ormai annientate o ininfluenti, quando non sono completamente asservite alle politiche dello Stato e dei gruppi economici che lo indirizzano e controllano. Basta guardare al ruolo dei sindacati per quanto attiene al lavoro o a quello degli enti che dovrebbero tutelare l’ambiente e la salute, la solidarietà sociale, il patrimonio culturale. È dinanzi a questo crollo che i Comitati, quando sono reale espressione della coscienza organizzata degli abitanti, sono chiamati alla lotta e a riprogettare e praticare nuove forme di cittadinanza e di comunità. Occorre forte volontà e tanta fantasia.
Occorre sperimentare e socializzare le esperienze. Occorre tentare perché nessuno lo farà per noi.
Dobbiamo ad esempio chiederci – ed è solo un esempio tra tanti possibili – come è possibile far vivere e praticare a livello locale una parola d’ordine come “riprogettazione dei prodotti industriali”? Parola d’ordine che abbiamo inserito nella nostra piattaforma rivendicativa contro discariche e inceneritori e che significa guardare a monte della produzione dei rifiuti. Naturalmente sappiamo bene che “riprogettazione dei prodotti industriali” è parola d’ordine generale, è obbiettivo strategico, rimanda al confronto col mercato delle merci e dei capitali, rimanda a un diverso modo di produzione. Ma se non vogliamo che questa parola d’ordine, questo obbiettivo strategico rimanga solamente una espressione verbale da realizzarsi forse in un lontano futuro occorrerà tentare già a livello locale di farla vivere concretamente.
Come è possibile impedire, ad esempio, che nei supermercati cittadini – ossia i massimi fornitori di rifiuti – si vendano prodotti ad alto inquinamento? Boicottaggio? Costruzione di reti di consumo alternative? Sabotaggio? Naturalmente la risposta sta nelle condizioni specifiche dei comitati e nelle specifiche situazioni cittadine. Ma è questo il compito dei Comitati: rendere concreti i nostri NO e proporre e praticare alternative socialmente comprensibili e riproducibili.
Difesa dei territori significa lottare contro la sottomissione alle politiche del profitto di tutte le relazioni sociali e ambientali che qui si producono. Significa che i comitati si muovono come delle comunità reali, mettendo al centro la ripresa e la pratica dei valori legati alla solidarietà, al mutuo soccorso così come alle pratiche di autoconsumo e di autoproduzione. Più volte abbiamo detto e scritto che “gli abitanti debbono partecipare direttamente alle decisioni che riguardano l’economia della e per la comunità; alle decisioni che riguardano i modi e i versi del territorio urbano ed extraurbano; al riconoscimento del proprio patrimonio culturale, storico, ambientale”. È per questo che nelle nostre piattaforme reclamiamo la “presenza dei comitati territoriali in tutte le sedi in cui si decidano le sorti dei territori”.
È necessario, per concludere, che autogoverno, autodeterminazione e indipendenza delle comunità territoriali, seppure nelle forme storicamente possibili nei diversi luoghi che abitiamo, si concretizzino in fatti, seppure piccoli ed episodici, ma in fatti che alludano alla volontà di un radicale cambiamento di cui sentiamo ormai l’impellente necessità.

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