Il treno dell’indipendentismo. Alcune riflessioni sulle elezioni in Irlanda del Nord

Il treno dell’indipendentismo. Alcune riflessioni sulle elezioni in Irlanda del Nord
Giovedì 5 Maggio 2022 si sono tenute le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord. A seguito delle elezioni, il Sinn Fein è il più grande partito politico dell’Irlanda del Nord.

 

Indipendenza per uscire dalle crisi

 

Lo avevamo previsto. La Brexit d’altronde aveva scoperchiato il vaso di Pandora dell’indipendentismo nelle penultime elezioni del 2020. Adesso, dopo due anni di pandemia e nel bel mezzo di una crisi economica internazionale, rompe ancora gli equilibri politici- e stavolta in maniera ancora più netta – l’indipendentismo irlandese. Stiamo parlando del Sinn Fein, forza indipendentista dell’Irlanda del Nord che in quest’ultima tornata elettorale per il rinnovo del parlamento, ha totalizzato 27 seggi. Due seggi in più rispetto alla controparte, il Democratic Unionist Party (DUP).

 

L’assemblea irlandese è formata da novanta seggi e per rinnovarla sono stati chiamati a votare più di un milione e trecentomila elettori. Secondo i sondaggi, il partito repubblicano avrebbe dovuto totalizzare il 26%, seguito dal DUP al 20%. Per la prima volta in 101 anni di storia dell’Irlanda del Nord, le elezioni del 5 maggio hanno assegnato la maggioranza dei seggi al Sinn Féin.

La vittoria dello Sinn Fein, e dunque la via indipendentista, potrebbero aprire la porta verso nuove istituzioni capaci di fronteggiare la grave fase di crisi politica. Tra gli obbiettivi del partito indipendentista, il referendum per l’indipendenza, l’uscita dal Regno Unito e la riunificazione con il resto dell’Irlanda. Una prospettiva che potrebbe realizzarsi in una nuova legislatura, attualmente colpita dai bisogni dei cittadini irlandesi a seguito di crisi energetica e aumento del costo della vita.

 

 

Il primo ministro e il protocollo sull’Irlanda

 

Il ruolo di Primo Ministro dovrà essere affidato a Michelle O’Neil, la donna che dovrà portare in alto la bandiera dell’indipendenza e che sta già promettendo di mettere «soldi nelle tasche dei lavoratori e delle famiglie per affrontare carovita, crisi e per iniziare a sistemare il servizio sanitario». Il ruolo di vice primo ministro invece, dovrebbe essere assegnato al Democratic Unionist Party.

In base all’accordo del ”Venerdì santo” qualsiasi governo del paese deve garantire una divisione dei poteri tra le cariche di “primo ministro” e di “vice primo ministro” provenienti dalle file dei due partiti maggiori. Ma il DUP sembra rifiutare la formazione del governo con gli indipendentisti cattolici, nonostante nessun governo possa essere formato in mancanza di questa garanzia. Le due cariche di fatto hanno lo stesso potere e per i protestanti questo sembra rappresentare un insopportabile ridimensionamento. Il DUP dunque, principale partito protestante, rifiuta di accettare l’incarico e si appresta a sabotare il rinnovo dell’Assemblea.

La legge prevede, in caso di impossibilità nella formazione del governo, un ritorno alle urne entro quattro-sei mesi. Se le nuove elezioni non producessero un risultato diverso si ritornerebbe al “governo diretto” da Londra, lasciando il potere esecutivo al Tory Party di Boris Johnson. Una decisione prevedibile quella del DUP, partito che ha basato l’intera campagna elettorale sulla rivisitazione del protocollo sull’Irlanda – il protocollo concordato che consente all’Irlanda del Nord di rimanere nel territorio doganale del Regno Unito e, al tempo stesso, di beneficiare del mercato unico.

 

Instabilità politica

Equilibri instabili che aprono diverse opportunità in tutta l’isola. Le tornate elettorali fotografano spesso un malcontento generale verso le istituzioni centrali inglesi. Non a caso durante le elezioni amministrative del 5 maggio, i conservatori hanno perso una dozzina di consigli e più di 400 seggi, a vantaggio dei laburisti ma anche dei liberali democratici, che stanno ottenendo alcuni successi. Si tratterebbe forse di una qualche inversione elettorale per Boris Johnson? Di sicuro, sullo sfondo della Brexit e uno scenario di crisi sociale alimentata dagli aumenti sul costo della vita e dalla guerra internazionale, il Partito conservatore del primo ministro britannico Boris Johnson si dimostra indebolito.

Ad infliggere un ulteriore colpo anche la Scozia, dove si rafforza il partito nazionalista Scottish National Party. Da più lati lo stato centrale sembra essere attaccato dalla volontà popolare e dalla prospettiva indipendentista (Scozia, Irlanda, Galles).

 

Pensare che i processi di indipendenza politica possano essere determinati dentro le urne elettorali è un’ingenuità in cui non cadiamo. Tuttavia, a partire dalle rivendicazioni di indipendenza che spaccano il Regno Unito si possono aprire delle possibilità per scuotere l’Europa e – ci auguriamo – costruire e radicalizzare l’opposizione al modello di Stato-nazione.

Ma mentre nella Londra post-Brexit soffia vento di indipendenza, alle latitudini italiane l’aria sembra sempre la stessa: il Premier Mario Draghi continua a difendere a spada tratta la sua amata UE in tutti i contesti nazionali e internazionali.

Draghi però, e con lui tutti i più affezionati all’Europa – o per meglio dire alle retoriche di cui questa è ammantata – rischiano di rimanere scottati dalle prospettive indipendentiste che continuano ad aprirsi. Risparmiamo in questa sede le nostre ipotesi, ciò che possiamo affermare con sicurezza è che il treno dell’indipendentismo sta per passare. Tocca a noi farci trovare pronti. Biglietti in mano, per liberare i nostri territori dalla miseria e dalla devastazione dei governi centralizzati, per riprendere nelle nostre mani il diritto di decidere.

 

Indipendenza dei territori ovunque,

Ora e sempre,

Antudo!

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