Minneapolis: la polizia dei “Democratici” uccide ancora

Minneapolis: la polizia dei “Democratici” uccide ancora
Domenica 11 aprile, a Minneapolis si è registrato l’ennesimo omicidio a danno di un afroamericano.

Daunte Wright è stato assassinato dalla polizia statunitense, nella stessa città in cui 11 mesi fa l’agente Chauvin aveva ucciso George Floyd.

 

Senza giustizia, nessuna pace!

Secondo le notizie trapelate, un agente della polizia aveva fermato Wright alla guida della sua automobile, in seguito a una presunta violazione del codice stradale. La polizia ha dichiarato che l’autista è rientrato nel veicolo mentre gli agenti tentavano di arrestarlo. Per le guardie, questo sarebbe bastato per aprire il fuoco contro l’uomo e ucciderlo.

Alla notizia dell’ennesimo omicidio, migliaia di persone si sono riversate in strada. I manifestanti si sono radunati presso il Dipartimento di Polizia del Brooklyn Center. Lì ad attenderli, la guardia nazionale già pronta allo scontro. Gli agenti di polizia, pagati per reprimere spalla a spalla le rivolte, hanno formato i cordoni fuori dalla centrale. In piedi con caschi e scudi, in assetto antisommossa per mantenere l’edificio al sicuro.

Ma il desiderio di vendicare l’ennesimo omicidio di Stato a danno di un afroamericano, ha spinto i manifestanti a farsi avanti, a fronteggiare la polizia. «Finché non otteniamo giustizia, non avrete pace». «Proteggetevi perché adesso tocca a voi». Così parlano rabbiosi i manifestanti. Durante gli scontri la polizia avrebbe sparato i fumogeni e le flashbang perché la folla sembrava stesse diventando davvero troppo forte e ingestibile.

 

We can’t breathe

«Nous nous révoltons simplement parce que, pour de nombreuses raisons, nous ne pouvons plus respirer» – scriveva Frantz Fanon. Ci rivoltiamo semplicemente perché, per diverse ragioni, non possiamo più respirare: è questa la traduzione in lingua italiana.

C’è qualcosa che unisce in maniera indissolubile le comunità afroamericane tra di loro. Sta nelle ossa, nel sangue. «Se toccano uno di noi, toccano tutti».

La notizia dell’uccisione di George Floyd aveva in poche ore catalizzato la rabbia degli oppressi di tutta l’America. Gli incendi ai negozi e ai supermercati, i vetri frantumati. E poi l’incendio della stazione di polizia di Minneapolis, simbolo di quella rivolta. La morte di Floyd aveva scandito l’agenda politica e le rivolte sociali di tutto il 2020 americano. Le proteste di quei mesi infiammarono gli Stati Uniti. Il movimento dei Blacks con le manifestazioni, le zone dichiarate autonome, gli scontri nelle città di tutta l’America al grido «Defund the police» hanno fatto traballare la legittimità delle forme di controllo che lo Stato esercita nei territori.

 

Oltre il Black Fire

Ma il 2020, è stato anche l’anno delle elezioni. La vittoria del democratico Biden ha fatto cantare vittoria ai più. «Finalmente è tornata la democrazia». «La fine del “periodo nero” trumpista; evviva il demos». Al fianco di Biden, la vice Kamala Harris. E a rincarare la dose, all’insegna del folklore nero, alla cerimonia di insediamento del neopresidente, Jennifer Lopez cantava «This Land is your Land». Venne annunciata la piena integrazione della comunità. Finalmente le vite dei neri contano. Dicono, citando il testo, «questa terra è anche vostra».

Nel frattempo, però, nei quartieri popolari procede tutto come al solito. Stesse discriminazioni, stesse brutali condizioni di vita e di lavoro; stesse violenze e stessi abusi contro gli afroamericani. Proprio come era stato con il primo presidente degli Stati Uniti afroamericano, Obama.

Con la morte di Wright, le comunità si sono ritrovate di fronte all’ennesimo abuso. All’ennesima ingiustizia. La rabbia è esplosa di nuovo. Una nuova rivolta che sta ricordando al mondo che è l’intero sistema che va messo in discussione. Che Trump e Biden non rappresentano, rispettivamente, il male e il bene.

Non è votando più a sinistra che la società capitalistica diventa più giusta. Biden non era e non è la risposta a Trump e al sovranismo. Anche il nuovo presidente democratico, nonostante vesta i panni del garante dei diritti civili, continua, di fatto e senza timore, a negare quelli sociali. La dignità delle comunità e delle persone – anche se sotto la bianca e sorridente maschera della “riconquistata” democrazia – continua a essere calpestata.

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