Il rischio sismico in Sicilia

Il rischio sismico in Sicilia
A causa della sua posizione e di alcune condizioni strutturali, la Sicilia è caratterizzata da un elevato rischio sismico.

La Sicilia è ubicata in corrispondenza dello scontro tra la placca africana e quella euroasiatica. La sua posizione spiega l’elevata sismicità delle aree che, in passato, sono state colpite da terremoti distruttivi: nel 1693 la Val di Noto, nel 1908 Messina, nel 1968 la Valle del Belìce e nel dicembre 1990 la zona di Carlentini e Augusta.

 

Il rischio sismico in Sicilia

Secondo la mappatura realizzata dall’INGV – l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – l’area dello Stretto di Messina e la zona del Belìce si trovano in zona 1 per rischio sismico. La restante parte dell’isola, invece, si trova prevalentemente in zona 2. Solo il territorio centro-meridionale ricade in zona 3 o 4, ovvero quelle a relativamente basso rischio sismico.

Per quanto riguarda la zona dello Stretto, le cause dell’elevata sismicità sono da ricollegare alle profonde spaccature che si trovano sotto il Mar Ionio. Nella Sicilia occidentale, invece, vi sono due aree caratterizzate da anomale velocità di deformazione. La prima, dai contorni sfrangiati, si trova tra Mazara e Marsala e viene attribuita, sulla base dei dati disponibili, a un sovrasfruttamento della falda acquifera che ha indotto fenomeni di subsidenza. La seconda, invece, è una linea netta che taglia una vasta area tra Castelvetrano e Campobello di Mazara. Questa faglia, che attraversa la Valle del Belìce, presenta tassi di movimento piuttosto accentuati ed è da considerare come la sorgente sismotettonica dei terremoti nella zona.

 

Gli indicatori di rischio sismico

Nell’analisi del rischio sismico vanno tenuti a mente alcuni indicatori: la pericolosità sismica (definita anche sismicità del luogo), ovvero la probabilità che si verifichino terremoti di una data entità, in una data zona e in un prefissato intervallo di tempo; l’esposizione, ovvero l’insieme delle persone, degli edifici e delle attività che possono subire danni; la vulnerabilità sismica, che misura la predisposizione di una costruzione a subire danni per effetto di un sisma di prefissata entità. Secondo la Protezione Civile siciliana, la regione ha una pericolosità sismica molto alta a causa della frequenza e intensità dei terremoti che si sono succeduti in epoca storica; una vulnerabilità altissima legata alla fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale, produttivo e dei servizi; un’esposizione molto alta, a causa della densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale in zone interessate da faglie.

Grava di certo l’eccessiva urbanizzazione. Basti pensare che nell’isola, secondo una stima basata sulla mappa della Protezione Civile, nella fascia di rischio più pericolosa vivono 355 mila siciliani e si trovano 1,7 milioni di abitazioni. Neppure lo stato delle strutture che in caso di sisma dovrebbero fungere da punto di raccordo tra i soccorsi e la popolazione è rassicurante. Un censimento dell’INGV definisce 755 strutture civili su 1.109 in uno stato di vulnerabilità compreso tra medio e alto. Anche la situazione delle infrastrutture ospedaliere nell’isola è alquanto problematica. Per quanto riguarda gli edifici scolastici, nel 2018 in Sicilia più del 90% non è stato sottoposto alla verifica del rischio di vulnerabilità sismica previsto dalla legge.

 

I terremoti che sconvolsero l’isola

Sono passati 53 anni dal sisma che, nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, colpì la Valle del Belìce. Le cifre ufficiali riportano 231 vittime e 623 feriti. Altre fonti parlano invece di oltre 400 morti e più di mille feriti, con oltre 70 mila sfollati. Un mese dopo il sisma, nella provincia di Trapani 9 mila senza tetto erano ricoverati in edifici pubblici, 6 mila in tendopoli, 3 mila 200 in tende sparse e 5 mila in carri ferroviari; 10 mila persone erano emigrate in altre province.

Gli abitanti delle zone interessate dal sisma vissero per mesi nelle tendopoli e poi per anni nelle baraccopoli. Nel 1973 la popolazione nelle baracche era di 48.182 individui, mentre solo il 10% degli alloggi necessari era stato edificato. Le ultime 250 baracche con i tetti in amianto furono smontate solo nel 2006. La mancata bonifica dell’amianto usato per la ricostruzione post sismica è un problema che affligge quasi la totalità dei comuni belicini e che, a distanza di 50 anni dal terremoto, miete ancora oggi vittime silenziose.

Il 28 dicembre del 1908 si verificò invece un terremoto di intensità 7.1 della scala Richter, con epicentro nello Stretto di Messina. Si stimano 120 mila vittime, 80 mila a Messina e 40 mila in Calabria. La città siciliana perse circa la metà della popolazione. Nel tempo, molti studiosi hanno sottolineato i ritardi nei soccorsi e lo sciacallaggio ad opera dei militari inviati dal governo italiano. Il disinteresse dello Stato nell’immediato post-terremoto si confermò anche nella fase di ricostruzione. Gli strascichi di quell’evento sono evidenti ancora oggi. A più di un secolo da quel terremoto infinito, secondo le stime Arisme, le baracche a Messina sono 2 mila 300 per un totale di circa 7 mila famiglie. Un piano regolatore efficiente nella città non è mai stato attuato.

Fare una previsione precisa di un terremoto è impossibile, ma non lo è immaginare che, prima o poi, questo accadrà. Ormai è ben definita l’ubicazione delle principali «faglie capaci» ed è ben chiaro l’inquadramento delle «sorgenti sismogenetiche» in Sicilia. Gli amministratori, sia a livello locale che centrale, dovrebbero adoperarsi per limitare il più possibile i danni. La gestione degli eventi sismici che hanno interessato il nostro territorio dimostra come questo compito venga puntualmente disatteso.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *