Cile in fiamme dopo l’ennesimo omicidio di Stato

Cile in fiamme dopo l’ennesimo omicidio di Stato
Da qualche giorno il Cile è teatro di proteste e scontri dopo l’uccisione a freddo di un giocoliere da parte dei carabineros.

A Panguipulli, un piccolo centro del Cile meridionale, sono scoppiate le rivolte e le proteste da parte del popolo cileno nei confronti della polizia di Stato.
 

L’ennesima uccisione da parte della polizia

Qualche giorno fa, un artista di strada che si stava esibendo a un semaforo è stato ucciso a sangue freddo dai carabineros. Francisco Romero – cosi si chiamava – secondo quanto raccontato dalla polizia, avrebbe rifiutato di mostrare i documenti. Uno dei due agenti avrebbe allora sparato prima un colpo a terra, poi uno alle gambe – ferendo il giovane – e infine una scarica di colpi mortali al petto.

Francisco viveva a Santiago e puntualmente si trasferiva nel sud del paese per studiare e guadagnarsi da vivere con la sua arte. Faceva il giocoliere con scimitarre e palline, disegnando e confezionando giocattoli.

Fin dal giorno successivo, le proteste hanno attraversato tutto il paese. Le manifestazioni più forti si sono registrate a Valdivia, Concepciòn, Santiago ma anche Arica, Temuco, Maipù, Antofagasta. Da nord e sud migliaia di persone sono scese in piazza contro la brutalità e la violenza della polizia. A Panguipulli i manifestanti hanno alzato barricate per avere il tempo di incendiare dieci edifici pubblici, tra cui il Municipio, tutti totalmente distrutti dalle fiamme.


 

«No muriò, lo mataron» (Non è morto l’hanno ucciso)

Adesso sono gli abitanti di Panguipulli che si fanno giustizia da soli. Contro il sistema delle leggi dello Stato oppressore e i suoi esecutori – i carabineros – il popolo è sceso nelle strade per vendicare l’uccisione del giovane artista. Nelle strade si urla «justicia, justicia», mentre i giovani si scontrano con la polizia. Nel centro di Santiago, i manifestanti fronteggiano gli agenti, i quali ricorrono agli idranti e al lancio di prodotti chimici per disperdere la folla. Alcuni dei partecipanti tenevano in mano clavette da giocoliere, in solidarietà con il 27 enne assassinato.

Intanto, in un comunicato, i vertici dei carabineros hanno sostenuto che l’agente Juan Guillermo González, protagonista dell’episodio, abbia agito per legittima difesa. Ma un magistrato ne ha disposto la carcerazione preventiva con l’accusa provvisoria di «omicidio con arma da fuoco». Ma sappiamo bene che questo è solo un modo per difenderli dalla rabbia popolare; ne uscirà indenne.

Non è la prima volta che in Cile accadono violenze da parte dell’esercito. Episodi come questi sono ricorrenti e all’ordine del giorno sotto la dittatura del generale Pinochet. L’uccisione del giovane è stata la goccia che ha fatto traboccare – nuovamente – il vaso della rivolta.

 

Fermare la prepotenza dello Stato

A maggio del 2020 in America, il popolo gridava «De-found the police» dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia. A Minneapolis, il 29 maggio, il commissariato di polizia era stato dato alle fiamme.

Le proteste popolari e la rabbia contro la violenza della polizia si sono trasformate in veri e propri assalti alle caserme e ai Comandi di Azione Immediata (CAI) della polizia anche a Bogotà, a seguito dell’uccisione di un 46 colombiano a colpi di scariche elettriche da parte di un poliziotto.

Nello stesso Cile le proteste vanno avanti ormai da più di un anno contro il sistema neoliberista, la repressione e la violenza della polizia.

Il popolo non dimentica e da sfogo alla sua rabbia in piazza nella lotta contro il nemico: lo Stato. In America, In Colombia, in Cile e a Hong Kong i luoghi del potere – i simboli dello Stato autoritario e oppressore – vengono assediati. I commissariati, i Municipi, le statue dei colonizzatori. Chi scende nelle strade lo fa perché vuole fermare, una volta per tutte, la prepotenza dello Stato e dei suoi apparati repressivi.

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