Sanità in Sicilia: Lampedusa vuole un consultorio

Sanità in Sicilia: Lampedusa vuole un consultorio
Qualche settimana fa Non Una di Meno Lampedusa ha dato avvio alla restituzione dei risultati di un’inchiesta autorganizzata costruita negli ultimi due anni.

L’inchiesta ha previsto la somministrazione di 100 questionari nel marzo del 2021 e ha avuto come focus la salute riproduttiva e la possibilità, per le donne, di ricevere cure e assistenza adeguata per le problematiche legate alla sfera ginecologica e sessuale. Non si tratta dell’unica azione che il gruppo ha intrapreso su questo tema: l’inchiesta è solo l’ultima di una serie di iniziative che hanno precise rivendicazioni sulla difesa dei presidi sanitari locali, messi in pericolo da un continuo processo di smantellamento. Le risposte ai questionari hanno dipinto un quadro preoccupante circa la possibilità di accesso ai servizi e di godere attivamente del diritto alla cura.

 

I risultati dell’inchiesta

Il 60% delle persone intervistate ha dichiarato di non rivolgersi al servizio pubblico, ma di optare piuttosto per i privati, anche sull’isola. Questo avviene perché il pubblico è considerato meno sicuro e con tempi di attesa troppo lunghi. A questo proposito vale a pena ricordare che, per quanto riguarda il settore pubblico, sull’isola sono presenti due ginecologhe per due giorni a settimana. Le donne che hanno risposto all’inchiesta, dunque, ritengono che la ginecologia pubblica locale sia inadatta a rispondere ad urgenze, che non fornisca diagnosi accurate e che quindi non costituisca un’opzione valida. Come è evidente, tutto ciò comporta gravi conseguenze che si riverberano in tanti ambiti diversi: mancanza di una corretta informazione sulla salute sessuale, nessun supporto in merito alla prevenzione di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, generale assenza di un punto di riferimento per le donne dell’isola che non possono sottoporre a nessuna struttura problemi che in molti casi potrebbero essere risolvibili attraverso presìdi di sanità territoriale. A causa di questa carenza strutturale, anche le problematiche più semplici rischiano di complicarsi e impattare in modo molto consistente sia sulla salute che sul portafogli.

 

Il peso economico che grava sulle donne di Lampedusa

Come emerge dai dati, infatti, le donne che abitano a Lampedusa affrontano non solo le conseguenze prettamente sanitarie del mancato accesso alle cure, ma anche il costo economico di sopperire a quella che sembra una vera e propria ritirata sanitaria delle istituzioni dall’isola.

Nonostante sia prevista una tariffa agevolata per gli spostamenti, la mancanza di un centro diagnostico e la più generale assenza di macchinari adeguati e personale sufficiente, fa in modo  che anche per le visite più banali si sia costrette a imbarcarsi in lunghi e dispendiosi viaggi. Questo vale senz’altro per l’interruzione volontaria di gravidanza, che può costare ad una donna di Lampedusa dai 500 ai 1000 euro, ma non solo.

Chi sceglie di portare avanti la gravidanza, ad esempio, si trova a dover sostenere costi che possono oscillare dai 1000 agli 8000 euro. Questi costi sono dovuti alla necessità di spostarsi in altre città, dove nella maggior parte dei casi si viene seguite privatamente, e dove si è costrette ad alloggiare nell’ultimo periodo della gravidanza, con tutte le conseguenti spese di alloggio e mantenimento che ciò comporta. A questo va aggiunto un importante elemento che a cui è fondamentale dare rilievo, vale a dire il costo emotivo che le donne pagato dalle donne costrette a spostarsi in una fase spesso così delicata e piena di incertezze.

 

Abbiamo bisogno di un consultorio!

Dall’inchiesta emerge quindi che Lampedusa ha bisogno di un consultorio, un consultorio che sia laico, femminista e pubblico. La battaglia per il consultorio si inserisce in quello che è certamente un quadro desolante sulla sanità isolana. Al momento l’isola di Lampedusa conta un pronto soccorso, un poliambulatorio e un elisoccorso che serve sia Lampedusa che Linosa. Non vi è un punto nascite (è impossibile nascere a Lampedusa da fine degli anni ’70) né un centro diagnostico. Il quadro è aggravato dall’assenza di qualunque tipo di assistenza al trasporto (ad esempio per persone dializzate) e dalla carenza di ambulanze: sull’isola ne è disponibile solo una.

 

Il silenzio delle istituzioni

La risposta delle istituzioni è stata in gran parte il silenzio. Accanto a numerose iniziative di tipo informativo, banchetti e altro, il nodo di Non una di Meno Lampedusa ha inoltrato una formale richiesta di istituzione di un consultorio al sindaco. Il primo cittadino si è però mostrato sordo a questo tipo di esigenza. L’atteggiamento delle istituzioni, insomma, è fatto in gran parte da mancate risposte e, soprattutto, di rimpalli di responsabilità tra i vari livelli di governo territoriale.

Secondo le motivazioni ufficiali, la mancata realizzazione di un consultorio sarebbe dovuta al fatto che una struttura di quel tipo non troverebbe un sufficiente bacino di utenza. Questa motivazione appare a dir poco faziosa perché ignora consapevolmente uno dei meccanismi che più spesso vengono applicati nell’ambito del sistema sanitario pubblico in Sicilia. Accade da anni infatti – con una visibile accelerazione negli ultimi tempi –  che il servizio sanitario pubblico e i presidi sanitari vengano puntualmente e gradualmente spogliati di personale e di macchinari efficienti rendendoli di fatto poco adatti alle esigenze della popolazione locale, che – se e quando può – sceglie di curarsi altrove.

Questo meccanismo però è tutt’altro che automatico e scontato. Si tratta di scelte deliberate e attivamente incoraggiate dalle istituzioni nel loro maldestro tentativo deresponsabilizzarsi facendo appello all’ “utenza mancante”. La mancanza di presidi sanitari o la loro bassa qualità invece, non hanno niente a che fare con una (tutta da verificare!) scarsità della domanda da parte dei territori. Hanno invece tutto a che vedere con strategie che puntano a desertificare e sacrificare alcune aree a beneficio del settore privato o di alcuni “grandi centri” che, nei fatti, non possono assorbire la domanda di sanità che proviene dai territori. Per questo motivo che si tratti di consultori, pronto soccorso, ospedali, la battaglia per i presidi sanitari di base e la sanità territoriale è oggi al centro della possibilità di abitare i territori.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *