Messina, 1908-2020: «il terremoto infinito»

Messina, 1908-2020: «il terremoto infinito»
Ricorre oggi il 112esimo anniversario del terremoto di Messina.
Il 28 dicembre del 1908, alle 5:21, un terremoto di intensità 7.1 della scala Richter, con epicentro nello stretto di Messina, segnò l’annientamento di quella che era stata per secoli una delle città più belle e vivaci della Sicilia: Messina.
L’epicentro del sisma fu così esteso da causare anche un maremoto che, in alcuni punti, raggiunse i 10 metri d’altezza.

A quei tempi Messina contava circa 140.000 abitanti. La stima fatta contò la cifra di 120.000 vittime, 80.000 a Messina e 40.000 in Calabria. La città perse, dunque, circa la metà della popolazione.

«Messina la grande, l’eroica Messina, l’antichissima Zancle, l’antica Messana, la città rivaleggiante con Palermo e maestra di civiltà e di armi, già capitale dell’isola, la patria dei più grandi uomini e donne del Vespro, la rocca del valore e della libertà, sotto tutte le dominazioni straniere e borboniche, la città dei superbi edifizi, dalle sontuose strade, dalla meravigliosa riviera, dalla navigazione mondiale, dalla storia antica e moderna più virile e superba, non esiste più e dei suoi 160mila abitanti, centomila sono morti»

Scriveva così Enrico Inizio sul «Giornale di Sicilia» nella prima edizione del quotidiano del 1909.

 

Il «duplice flagello»

Nel tempo, molti sono stati gli studiosi che hanno raccontato delle polemiche sui ritardi nei soccorsi e dello sciacallaggio dei militari inviati dal governo italiano.

Secondo alcuni, le prime notizie sulla fondatezza del caso giunsero a Roma solo alle 17:30; altri sostengono che ciò non sia vero. Comunque sia, il telegramma di avviso recitava «terremoto distrusse buona parte Messina – giudico morti molte centinaia – case crollate sgombro macerie insufficienti mezzi locali – urgono soccorsi per sgombro vettovagliamento assistenza feriti – ogni aiuto sarà insufficiente».

Inoltre, Giolitti, l’allora Ministro degli Interni, stentava a credere alla gravità della situazione – urlata da molti – e invitò i giornalisti a temporeggiare.

Si tramanda, infatti, un celebre commento: «qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo». Banalizzando, di fatto, la morte di migliaia e migliaia di messinesi e calabresi.

I primi ad arrivare furono i sovrani, il 30 dicembre, due giorni dopo.

Fu Vittorio Emanuele III ad attivare la macchina dei soccorsi ma – secondo quello che poi in futuro fu raccontato da Giuseppe Longo, uno dei sopravvissuti del villaggio marinaro di Torre Faro – quello che ha vissuto Messina nel 1908 può essere descritto come il «duplice fagello».

Raccontò infatti che i militari italiani mandati per soccorrere, in realtà, intralciavano le operazioni di soccorso o, addirittura, le impedivano. Sperperavano i generi alimentari sulle navi e negli accampamenti dei soldati mentre i superstiti elemosinavano vestiti e cibo. Raccontò dell’inutile carico di biciclette che inviò Giolitti ai suoi soldati. Ma anche della sparizione di titoli di Stato, oggetti di valore e soldi, parallelamente all’invio quotidiano di pacchi di posta da parte dei militari ai loro parenti oltre lo Stretto.

Ci furono polemiche anche sulla sospensione degli scavi, mentre si estraevano persone miracolosamente in vita fino al 16 gennaio.

Il 3 gennaio il giornale «L’Ora» pubblicava un telegramma inviato dai medici dell’ospedale Civico di Palermo in cui si pregavano il Re, Giolitti e il generale Mazza di non ricoprire di calce le macerie. «Increduli dalla notizia che si vogliano distruggere o bruciare avanzi di Messina, fanno voti vivissimi che se pure concepito un piano umano scientificamente insostenibile e contrario a ciò che insegnano precedenti catastrofi, sia almeno rimandato a quando si avrà la certezza che sia spenta ogni vita umana».

E molte furono anche le polemiche sulle uccisioni di civili operate dai militari senza alcun motivo.

 

Il «terremoto infinito»

Molti, nel tempo, hanno parlato di un «terremoto infinito». Questo perché il disinteresse dello Stato italiano nell’immediato post-terremoto si confermò anche nella fase di ricostruzione. E gli strascichi di quel terremoto sono evidenti ancora oggi.

Superato il periodo iniziale di confusione, si passò alla fase di progettazione e ricostruzione. La volontà di Roma era principalmente quella di radere al suolo il poco che era rimasto.

Addirittura, alcune fonti storiche, raccontano di come il duca Pompeo Litta, proprietario di un terreno in Florida, propose di realizzare la nuova Messina negli Stati Uniti, ma i cittadini si opposero fermamente. Non avevano nessuna intenzione di abbandonare la loro terra, «contro il dissennato progetto di cancellare la città dalla carta geografica, si opposero, con forza, le intellighenzie messinesi: un drappello di docenti, intellettuali, politici, amministratori, uomini di chiesa, con coraggio gridò che non bisognava più parlare di morte, ma di vita, di ricostruzione. E proprio lì dov’era stata fondata l’antica Zancle, dai greci, nell’area dello Stretto» (Messina 1908-2008, un terremoto infinito di Eleonora Iannelli).

A partire dal 12 gennaio il governo di Giolitti destinò un centinaio di milioni di lire, di cui trenta subito, alla costruzione di baracche a uso temporaneo.

Molti soldi arrivarono anche dall’estero. Ma ad aprile cominciarono le proteste per la lentezza burocratica che durò almeno due anni, quando finalmente si ha memoria di una ricostruzione “provvisoria”.

Per parlare di un vero e proprio piano regolatore si dovrà attendere il 1911. Ma la ricostruzione durò anni e anni fino ad arrivare alle due guerre e quindi ad altre distruzioni e ricostruzioni.

La cosa che più sorprendente è che a oggi, a più di un secolo da quel terremoto infinito, secondo le stime Arisme, le baracche a Messina sono 2300 per un totale di circa 7000 famiglie.

È bene specificare che la baracca “più antica” risale al 1918, ma questo solo a causa delle due guerre che hanno seguito il terremoto. Successivamente a queste, le baracche son tornate in voga e da allora non sono mai più state demolite, perlomeno non tutte. E un piano regolatore efficiente a Messina non è mai stato attuato.

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