Legge di Bilancio regionale: il primo flop del governo Schifani

Legge di Bilancio regionale: il primo flop del governo Schifani
Dopo aver aspettato per mesi la formazione del nuovo governo regionale siciliano, la prima figuraccia dell’esecutivo Schifani non si è fatta certo attendere.  Il presidente della Regione aveva promesso che avrebbe fatto approvare la legge di bilancio entro la fine del 2022. Ma questo non è avvenuto perché l’assemblea regionale ha dovuto aspettare che lo stesso Schifani si accordasse con il governo centrale per la risoluzione di due partite economiche:

 

la prima

è legata a un contenzioso su una norma del 2006 che prevedeva un esborso da parte della Regione di oltre 600 milioni l’anno per l’aumento della compartecipazione alle spese sanitarie dal 42 al 49,11%. In cambio, per colmare questo aumento di spesa, lo Stato aveva promesso la retrocessione delle accise, mai corrisposte. Alla fine il Ministro Giorgetti ha riconosciuto al Presidente della Regione un contentino di 200 milioni di Euro;

 

la seconda

il «Salva Sicilia» – così lo chiamano – legata al pluricitato disavanzo ( vale a dire la differenza tra spese e entrate nelle casse della regione). A fine anno lo stesso Schifani – che l’1 dicembre lamentava la sottrazione di circa 8 miliardi ai siciliani – dichiarava agli organi di stampa che quel credito non è mai esistito e si disponeva in attesa della Legge di Bilancio del Governo Meloni in cui il disavanzo 2018 sarebbe stato finalizzata in dieci anni piuttosto che tre, come aveva, invece, sentenziato la Corte dei Conti Siciliana  quando ancora il presidente era Musumeci

 

Finti salvataggi

In questo caso l’obiettivo è stato raggiunto ma sempre vincolato a un taglio alla spesa pubblica. Quindi resta comunque un credito aperto nei confronti dello Stato ma per rimandare il problema e inscenare un finto salvataggio dei conti pubblici siciliani si ipotecano anche i servizi per gli abitanti dell’isola. Questa vicenda appare, infatti, come l’ennesima sottrazione di risorse rispetto a quanto previsto dalle norme stesse che regolano i rapporti tra la Regione Siciliana e lo Stato. Si potrebbe parlare di ennesimo tradimento del dettato dello Statuto dell’Autonomia se non fosse che il tradimento è diventato talmente strutturale da potere essere considerato ordinario.

Ne abbiamo avuti già parecchi di esempi di questo tipo. In tempi recenti, un carattere simile l’aveva avuto il salvataggio delle Città Metropolitane Siciliane nel 2019 attraverso il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione. In sostanza risorse utili a infrastrutturare il territorio vennero utilizzate per sanare le crepe dei bilanci affossati dalle riduzioni dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali

Stessa natura aveva avuto il cosiddetto “Salva Catania” che ha consentito, attraverso la rinegoziazione dei mutui e, dunque, il trasferimento dei debiti alle future generazioni, di liberare risorse per coprire i buchi di bilancio

 

La storia si ripete

Il più eclatante era stato forse l’accordo stipulato dall’allora Presidente della Regione Crocetta e dall’allora Assessore al Bilancio Baccei con il Governo Renzi attraverso il quale venivano concessi dall’esecutivo nazionale 500 milioni di euro in cambio della chiusura di un contenzioso su Irpef e accise, per il quale venivano rivendicati dalla Regione 30 miliardi.

Risorse che potevano essere distribuite ai comuni e utilizzate per mettere in sicurezza il territorio dal rischio sismico e idrogeologico, per mettere in sicurezza e potenziare la rete infrastrutturale, le scuole e la rete sanitaria.  Risorse che sarebbero bastate pure per internalizzare nuovamente servizi fondamentali come la gestione dei rifiuti. 

Si tratta, insomma, della continua riproposizione dello stesso schema secondo il quale non si va alla radice della fragilità dei bilanci, ma si trovano soluzioni tampone che consentono a questa classe politica di sopravvivere ancora un pò. 

Ma è così che va quando a decidere le politiche economiche dei territori sono gli stessi che ne sanciscono devastazione e impoverimento, in un meccanismo che riduce sempre di più i trasferimenti regione-comuni e limita la possibilità delle comunità di decidere in autonomia come spenderli, facendole diventare esclusivamente dipendenti da bandi europei le cui linee di finanziamento sono decise a tavolino da burocrati e  multinazionali.

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