Indipendenza e salute di comunità

Indipendenza e salute di comunità
Liste d’attesa infinite, presidi ospedalieri che chiudono, pronto soccorso al collasso. In alternativa, centinaia di euro per visite private o per partire e curarsi altrove. 

Il sistema sanitario pubblico è sull’orlo del baratro e il concetto stesso di diritto alla salute è messo fortemente sotto attacco da condizioni materiali che ne limitano l’accesso, a sempre più persone e sempre più spesso. A fine febbraio, attorno all’ospedale di Lentini migliaia di persone dai paesi del comprensorio si sono riunite al grido “Contro tagli e mala sanità qui protesta tutta la città”. Lo stesso giorno protestavano a Palermo le strutture private convenzionate con il SSN, enti esterni a cui ormai è quasi interamente delegato il riassorbimento delle richieste di visita e la possibilità di sfoltire le lunghe liste di attesa. Peccato che senza i fondi regionali, la copertura sia già terminata e le prestazioni sanitarie in gran parte vengano erogate attualmente solo a pagamento. Nel frattempo, lo scorso 21 marzo la Rete degli ambulatori popolari – presidi sanitari territoriali di quartiere che erogano visite gratuite grazie a medici volontari – ha chiamato a raccolta il capoluogo in una grande assemblea contro lo smantellamento del SSN, da cui si è deciso di lanciare una marcia per il diritto alla salute, prevista per domani, 15 aprile, a Palermo.

E andando a ritroso nei mesi scorsi, tra le tante, manifestazioni cittadine a Lampedusa, Caltagirone, Leonforte, Gela, Marsala, Castelvetrano, Lipari, Taormina, Sant’Agata di Militello, Barcellona Pozzo di Gotto, Giarre, Pantelleria, Ribera, Canicattì, Catania: la rete dei Comitati per la salute siciliani, tornata a riunirsi dopo l’emergenza pandemica, anima le proteste e le iniziative.

 

Il sistema sanitario pubblico è già al collasso e la pandemia ne ha accelerato il tracollo

Ma tra le proteste che si susseguono e un diffuso sentimento di sconforto, frustrazione e rabbia che attraversa il tessuto sociale, emerge sempre più la certezza che tra qualche tempo, del servizio sanitario pubblico per come lo conosciamo resteranno soltanto dei ricordi. Le scelte politiche degli ultimi decenni hanno sancito una progressiva e sempre più feroce sterzata verso l’affermazione del privato a discapito del pubblico. Questo naturalmente non riguarda soltanto la gestione della sanità, ma investe a catena vari settori (dell’organizzazione del lavoro, della formazione, della produzione e gestione dell’energia, dell’utilizzo delle risorse).

Nei territori siciliani, così come in tutti quelli posti alla periferia dello sviluppo capitalistico (o meglio, quei territori in cui lo “sviluppo” assume caratteristiche coloniali mascherate da “arretratezza”) queste scelte politiche assumono connotati sempre più drammatici – vedi la carenza di mezzi e di personale, la fatiscenza delle strutture, la difficoltà nel raggiungere i pronto soccorso, per cui anche l’ospedale viene gestito dalle istituzioni ormai come materia di ordine pubblico, da proteggere tramite la polizia dagli sfoghi dei pazienti e delle loro famiglie. 

 

Immaginare un nuovo servizio sanitario pubblico

Attorno alla difesa di queste attuali macerie, ma in una prospettiva di rottura con l’esistente da cui lo sfacelo deriva, e di uscita dalla dipendenza da uno stato centrale che ci condanna a questo tipo di marginalità, sorge la necessità di fare chiarezza. Come immaginare un servizio sanitario pubblico, di prossimità, gratuito, sganciato dal rendimento, dal profitto e dalla competitività che ha reso gli ospedali sempre più sovrapponibili ad aziende? Come riprogettare un’idea di cura che, a partire dalle necessità del territorio e dei suoi abitanti, ponga la comunità al centro del rapporto tra medico e paziente?

In questo senso, l’esperienza degli ambulatori popolari di quartiere si inserisce negli attuali malfunzionamenti del sistema, erogando visite gratuite tramite medici volontari. Gli ambulatori assumono un ruolo centrale nella prevenzione, nella divulgazione, nell’accesso alle cure, ribaltando l’attuale gestione centralizzata della sanità: grandi ospedali, cattedrali nel deserto più o meno all’avanguardia, in cui il paziente diviene un numero, un codice, un farmaco da prescrivere: la riconversione dell’emergenza COVID-19 ha reso il sistema ancora più spietato e inumano. 

 

Costruire salute di comunità

Per questo la decentralizzazione della sanità necessita uno stravolgimento alla base rispetto all’attuale modus operandi. La vita stessa all’interno di questo modello sociale diviene merce: la demercificazione dei rapporti sociali e della cura – di sé, dell’ambiente, del territorio – tramite abitudini quotidiane e di consumo che costruiscano salute per tutta la comunità, impone un ripensamento del ruolo del medico, della farmacia e di tutti i luoghi di cura. Impone il rifiuto delle nocività prodotte dal rapporto capitalistico, al quale interessa il profitto a discapito del benessere dei luoghi e dei loro abitanti. Impone un cambio di passo per quanto riguarda l’utilizzo delle terapie e della tecnologia che mira a risolvere soltanto il sintomo e non a indagare le cause della malattia.

A partire dalla riduzione delle liste di attesa, dalla tutela di quello che ancora tiene in piedi i nostri ospedali, dalla necessità di riunirsi nelle piazze, è tempo di costruire una salute di comunità che sia indipendenza e cura dei territori.

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