A2a, stato di agitazione e prospettive per il territorio

A2a, stato di agitazione e prospettive per il territorio
Nel silenzio assoluto si sta consumando un altro capitolo della storia che riguarda i lavoratori dell’indotto della centrale termoelettrica A2a di San Filippo del Mela (ME).
Dopo un anno è stato nuovamente proclamato lo stato di agitazione, con scioperi il 26 aprile e poi di nuovo il 16 maggio per un’ora e il 17 maggio per otto ore. Il 18 maggio, invece, l’assemblea dei lavoratori, date le rassicurazioni sulla conferma del tavolo di concertazione, ha deliberato per il rientro a lavoro mantenendo, però, lo sciopero degli straordinari e delle turnazioni. Il tavolo si è tenuto il 26 maggio ma ha prodotto solo un ulteriore appuntamento tra le parti.

 

Che aria tira alla centrale termoelettrica di San Filippo del Mela?

Non tira una bella aria all’interno della centrale A2a di San Filippo del Mela. La multiutility Lombarda, leader nel settore dell’energia, non ha nessuna intenzione di garantire ai lavoratori dell’indotto rapporti di lavoro minimamente paragonabili ai dipendenti diretti della società. L’ uso improprio di contratti a termine e dei livelli di inquadramento contrattuale, oltre a produrre retribuzioni da fame, rendono i lavoratori e le lavoratrici delle ditte sottoponibili a ricatti. Per mantenere il posto bisogna stare attenti a «non fare troppe pause», a «non andare troppe volte in bagno», a non rifiutare le richieste di straordinari ma soprattutto a non essere protagonisti delle lotte sindacali. 

 

A2a, gli impegni disattesi e la risposta operaia

L’anno scorso i lavoratori, compatti, hanno scioperato per dieci giorni ottenendo la firma, presso la Prefettura, di un verbale d’accordo in cui l’A2a si impegnava a «promuovere l’attivazione di un tavolo di confronto con le OO.SS, entro il mese di settembre 2022 al fine di individuare e condividere le professionalità ed i lavoratori che saranno coinvolti nel passaggio contrattuale». Un impegno che adesso l’azienda energetica nega addirittura di aver preso e che dimostra ancora una volta la scarsa considerazione che gli amministratori di A2a hanno nei confronti del nostro territorio. 

 

Non solo gli ultimi anni sono stati caratterizzati da disinvestimenti nella manutenzione e messa in sicurezza degli impianti – atteggiamento che fa pensare che da un giorno all’altro A2a potrebbe decidere di andarsene lasciando il mostro dov’è – ma anche da precise strategie di precarizzazione del lavoro. Per questo è arrivata la risposta degli operai che sanno, nonostante tutto, di trovarsi in una situazione che non può essere accettata. 

 

Un piano industriale che non c’è 

Già il 17 maggio si è tenuto un incontro tra le rappresentanze dei chimici e l’A2a, che non ha dato rassicurazioni sul futuro, se non sui prossimi 4 anni.

A parte l’impianto per il trattamento del FORSU, che di recente ha ricevuto il parere positivo di compatibilità ambientale dall’Assessorato regionale dell’ambiente, è ormai abbondantemente assodato che A2a non ha intenzione di investire perché non ha certezze sui ricavi. A questo punto – anche se già abbondantemente in ritardo – non basta più chiedere un generico piano industriale che comunque non arriverà dai vertici della società Lombarda. 

 

La sfida che pone il presente è ben più complessa di così, e non riguarda solo la centrale termoelettrica ma tutto il polo Industriale della Valle del Mela, raffineria e acciaieria comprese

Per tutti questi siti la direzione sembra molto chiara, l’acciaieria ha ormai attivato da anni gli ammortizzatori sociali e ultimamente trasferimenti quasi coatti verso gli stabilimenti Duferco del nord Italia per i dipendenti. La Raffineria, invece, prima dello scoppio della guerra era pronta ad aprire una fase importante di cessazione di commesse con le ditte dell’indotto. 

Insomma non possiamo ancora sperare che la risoluzione alla possibile crisi occupazionale, ambientale, economica e sociale arrivi da chi ci ha condotto a questo punto: Eni, Q8, A2a e Duferco. 

Anche altre esperienze nate in seno alle contraddizioni del capitalismo italiano, ci dicono che sono le soggettività operaie, insieme alle comunità di riferimento a dover indicare la rotta da seguire, a dover decidere cosa e per chi deve produrre il territorio. Far capire alle multinazionali che negli ultimi decenni hanno fatto il bello e il cattivo tempo che la pacchia deve finire. Hanno fatto fin troppi profitti sulla nostra pelle. 

Ma questo non potrà succedere fino a quando i lavoratori e le lavoratrici si sentiranno e agiranno come corpo estraneo alla comunità, come se gli interessi loro siano diversi o addirittura in contraddizione con quelli del territorio. 

 

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