Gela, morte sul lavoro: dirigenti Eni accusati di omicidio colposo

Gela, morte sul lavoro: dirigenti Eni accusati di omicidio colposo
Gela. Per la prima volta una perizia su un operaio morto di tumore ai polmoni punta il dito contro Eni. È morto per aver respirato l’amianto sul posto di lavoro; l’uomo aveva lavorato per oltre vent’anni in raffineria.

 

La perizia accusa Eni

Una perizia, di medici e docenti, riapre una storia che sembrava conclusa. Mai si era arrivati a dimostrare la correlazione tra le malattie e le morti dei cittadini di Gela con l’attività della raffineria. Per la prima volta non ci si limita a evidenziare l’anomalo numero di tumori, malformazioni e patologie, ma si dimostra che la morte dell’operaio è responsabilità del cane a sei zampe. Non sono state rispettate le condizioni di sicurezza all’interno dell’impianto; si respirava amianto.
La procura di Gela, acquisito questo documento, ha richiesto il giudizio per omicidio colposo per quattro ex dirigenti dell’impianto. Nel documento infatti si afferma che «aldilà di ogni ragionevole dubbio», la causa della morte è da imputare all’esposizione all’amianto.

 

A Gela si muore di lavoro, si muore di Eni

L’operaio gelese è morto di lavoro. Ci sono voluti tanti, troppi anni prima di ottenere una perizia che mettesse nero su bianco quello che per la comunità gelese è evidente da anni: Gela è stata avvelenata, sono stati avvelenati gli abitanti e il territorio. A Gela si muore ancora di Eni, si nasce ancora con malformazioni per Eni. Non c’è una famiglia che non sia martoriata da questo male, che non pianga cari andati via troppo presto. O bimbi che non avranno mai una vita normale.
Seppur con tanti anni di ritardo, questa perizia però riapre una partita molto importante.

 

Per la prima volta dimostrata la relazione tra malattie e raffineria…

In nessuno dei diversi processi che si sono svolti contro la dirigenza della raffineria si era riusciti a dimostrare un nesso tra l’inquinamento del grande mostro e i danni alla salute delle persone. L’arrivo di questo documento potrebbe avere un grosso peso sui diversi procedimenti ancora in corso. In tutti questi anni Eni non ha ancora sborsato neppure un euro alla comunità gelese per i diversi risarcimenti richiesti. Solo un risarcimento a una concessionaria di auto con sede accanto allo stabilimento, appena sequestrata perché appartenente ad imprenditori che per la Dda di Caltanissetta avrebbero riciclato i soldi del clan mafioso dei Rinzivillo.

 

… al di là di ogni ragionevole dubbio

Secondo l’inchiesta esclusiva dell’Espresso, la perizia firmata dai docenti di medicina del lavoro dell’Università di Palermo, Walter Mazzucco e Guido Lacca e dall’oncologo del Policlinico di Palermo Sergio Rizzo afferma che ci sono elementi tali che depongono, «al di là di ogni ragionevole dubbio, per un caso di danno biologico riconducibile all’esposizione alle fibre di asbesto in ambito occupazionale». Una seconda perizia, fatta da alcuni esperti medici a Bologna, ha anche stabilito come nel caso dell’ex operaio Di Vara il tumore alla pleura sia primario: cioè non conseguenza di altre forme tumorali precedenti. Un altro elemento chiave per la procura e per i legali della famiglia Di Vara che lega la malattia all’attività lavorativa nella raffineria.

 

Eni replica, arroganza vergognosa

Da parte di Eni è anche arrivata una replica: «Eni prende atto del provvedimento della Procura della Repubblica presso il tribunale di Gela che ha come oggetto fatti riferiti al periodo 1974-1996, e confida di poter dimostrare in ambito processuale la correttezza del proprio operato».
Delle parole al limite del ridicolo. Come vergognosa è l’arroganza con la quale il mostro a sei zampe osa ancora oggi negare i danni ecologici e sociali che ha causato in quel territorio.

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