Elezioni in Irlanda del Nord: successo dello Sein Féin

Elezioni in Irlanda del Nord: successo dello Sein Féin

Affluenza altissima e risultato record per lo Sein Féin, storico partito repubblicano d’Irlanda, considerato per trent’anni il braccio politico dell‘IRA e da sempre schierato contro la colonizzazione inglese dell’Ulster e per l’unificazione delle sei contee del nord con il resto d’Irlanda. Il 64,8 % degli elettori dell’Irlanda del nord si è recato alle urne, l’affluenza maggiore degli ultimi vent’anni, cioè dopo gli accordi del Venerdì santo che decretarono la fine dei Troubles. I risultati elettorali portano lo Sein Féin a conquistare 27 seggi contro i 28 degli unionisti fedeli a Londra del Democratic Unionist Party (DUP), in pratica un pareggio. Tenendo conto del cambiamento del numero di seggi del parlamento avvenuto l’anno scorso(il numero dei parlamentari è stato ridotto da 108 a 90), il DUP è passato dal 35 per cento dei consensi al 31,1 in meno di anno; il Sinn Féin invece è passato dal 25 al 30 per cento. In effetti se ai seggi ottenuti dallo Sein Féin sommiamo quello di altri gruppi minori troviamo un parlamento in cui il blocco indipendentista si attesta a 39 seggi contro i 38 di quello unionista, un sorpasso mai avvenuto.
Adesso, in base alle regole imposte da Londra il parlamento di Stormont avrà tre settimane di tempo per costruire un governo di coalizione; viceversa potrebbe tornare la Direct Rule e cioè il controllo diretto di Londra, e quindi l’addio alla devolution, stabilita negli accordi del 1998; questa seconda ipotesi porterebbe quasi inevitabilmente all’acuirsi di un conflitto mai in effetti del tutto scomparso; a Belfast protestanti e cattolici vivono ancora divisi da un muro e sono ancora presenti in sottofondo rigurgiti di lotta armata come gli ultimi episodi verificatisi a Derry e nella stessa Belfast.
Non sarà semplice creare un governo di coalizione: mai negli ultimi 20 anni le distanze tra le due parti sono così lontane come oggi; il governo precedente rimase in carica solo 10 mesi e cadde in seguito alle dimissioni del vicepremier Martin McGuinnes, ex comandante dell’IRA, rassegnate per uno scandalo che travolse la premier unionista Arlene Foster, sulla gestione di un programma di incentivi per l’energia rinnovabile.
Il risultato uscito dalle urne sommato al terremoto Brexit (in Irlanda del Nord, al referendum di giugno, il 56,4 per cento si era schierato per il Remain in Europa) e alla sempre maggiore crescita demografica della comunità repubblicana viene abilmente usato dallo Sein Féin che chiede adesso per bocca della sua nuova portavoce Michelle O’Neill, figlia di Brendan Doris combattente dei Provisional e per lungo tempo prigioniero politico, un referendum per l’uscita dal Regno Unito dell’Irlanda del Nord con la conseguente unificazione alle 12 contee della Repubblica di Irlanda: lo stesso governo di Dublino da più settimane lancia messaggi in questo senso. Tecnicamente il governo può indire un referendum qualora le condizioni di un eventuale consenso verso l’indipendenza da Londra sia alto, e mai come adesso questo sembra reale.
Una grana enorme per il Regno Unito, che così unito non sembrerebbe proprio, attraversato sempre di più da spinte d’indipendenza che dalla Scozia arrivano alla mai doma Irlanda del nord.

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