Il ponte sullo Stretto non è la cura, è il veleno

Il ponte sullo Stretto non è la cura, è il veleno
Il 12 dicembre a Messina il Movimento No Ponte è tornato a incontrarsi, riempiendo il Salone delle Bandiere del Palazzo Comunale, per cominciare a tracciare nuove rotte di mobilitazione e lotta contro la ripresa del progetto da parte del governo in carica. 

Di seguito alcune righe scritte a partire dall’esigenza di riavviare una discussione su cosa rappresenta il ponte, sul perché è necessario opporsi alla sua costruzione e perché quella contro la grande opera è una lotta che riguarda tutti i territori siciliani e non solo.

 

Senza il ponte il nulla

Da decenni, ciclicamente, il ponte sullo Stretto viene riproposto dalle forze politiche al governo come il sogno di sviluppo per Messina, per la Sicilia e il Sud. Il ponte viene spacciato come strumento per un futuro sfavillante a portata di mano, come il nuovo che viene e che ci traghetterà verso il progresso. E all’esaurirsi di tutti gli altri miti (come l’industrializzazione o il turismo come volano per l’economia locale), l’infrastruttura d’attraversamento è rimasta l’ultima carta da giocarsi. Per partiti, ordini professionali, università, organi d’informazione, un intero territorio (l’area dello Stretto, ma in fondo tutto il Meridione) deve restare appeso a quest’ultima possibilità. Senza il ponte il nulla. 

La responsabilità politica e culturale va data soprattutto a quella che un tempo veniva chiamata «classe dirigente locale». Ma non c’è da sorprendersi. Il ponte sullo Stretto è espressione di una economia coloniale, estrattivista, secondo la quale le grandi imprese realizzano i propri profitti attraverso lo sfruttamento del territorio, della natura che lo contraddistingue, infischiandosene di coloro che lo abitano e dei loro bisogni. In questa prospettiva la rappresentanza politica locale e, in generale, le élite locali hanno un ruolo subalterno, che esercitano in cambio di una riserva di privilegi.

 

Il modello delle grandi opere 

Un principio, un sistema, questo, che non si riferisce più solo al Meridione, ma che viene applicato a tutti i territori investiti dalla realizzazione delle Grandi Opere e che ha bisogno di una nuova narrazione green. Nei fatti, tutte le grandi opere rispondono allo stesso schema, lo abbiamo visto: una logica emergenziale per cui enormi fette di contributi pubblici vengono dirottati su opere che non hanno nessun beneficio per la collettività, attraverso investimenti realizzati con strumenti opachi come il general contractor o il project financing, che distribuiscono gli appalti e i controlli favorendo sempre gli interessi di grosse società private. Di volta in volta questa logica indossa maschere diverse: il ponte, il TAV, le trivelle, il Muos… ma in ballo c’è sempre il profitto per pochi contro il benessere e la vita di molti.

Queste opere sono figlie di un esercizio gerarchico della gestione dei territori che sottrae potere decisionale a chi i territori li vive e dove inquinamento e dissesto diventano a loro volta strumenti di concentrazione della ricchezza e sottrazione di risorse a opere che potrebbero essere veramente utili alla collettività e alla salvaguardia dei territori.

 

Lottare per…

Nel primo decennio di questo secolo un lungo ciclo di mobilitazioni si è opposto alla costruzione del ponte sullo Stretto. Quel movimento riuscì a vincere. Gli affollati cortei in cui si mescolavano abitanti e attivisti divennero espressione di un sentire comune del territorio che non voleva il ponte sullo Stretto, che lo percepiva come opera devastante. Oggi ci tocca di riprendere il cammino e ricostruire la stessa forza. Noi sappiamo bene che quella che spacciano come cura è invece un veleno che spazzerà i luoghi coinvolti sotto le macerie di un enorme cantiere. Sappiamo anche che i nostri nemici hanno mezzi politici e finanziari superiori ai nostri, ma siamo consapevoli di rappresentare l’unica alternativa capace di difendere territori e comunità, capace di spostare le risorse economiche dalla speculazione ai trasporti, alla sanità, alla scuola, alla cura del territorio, al welfare.

L’assemblea pubblica che si è svolta presso il Salone delle Bandiere del Comune di Messina il 12 dicembre è stato il primo passo di un cammino che sarà lungo. Le centinaia di persone che sono accorse a parteciparvi ci hanno dimostrato di quanto forte sia ancora la voglia di difendere la nostra terra dalla devastazione che deriverebbe dall’apertura dei cantieri del ponte sullo Stretto. Per la prima volta dopo anni, dopo le chiusure per la pandemia, ci siamo ritrovati in tanti, in uno spazio pubblico, consapevoli che non c’è salvezza nel chiuso delle nostre case, ma solo attraverso l’azione che possiamo mettere in campo con i nostri corpi. 

Un pensiero su “Il ponte sullo Stretto non è la cura, è il veleno

  1. Discorso perfetto e assolutamente condivisibile.
    Penso solo che vi siate scordato di menzionare il disastro della cementificazione dei porti, problema che i sanvitesi, stiamo drammaticamente vivendo sulla nostra pelle😱😱

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