Verso un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia

Verso un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia

Nicola Sturgeon, First minister della Scozia e leader dello Scottish National Party, ha lanciato il guanto di sfida a Theresa May, che guida il governo tory di Londra, per consentire un secondo referendum prima che la Gran Bretagna lasci l’Unione europea. Il Primo ministro scozzese, sorprendendo i Tories, ha annunciato che la prossima settimana chiederà al Parlamento scozzese di iniziare le trattative con il governo di Londra per tenere un altro referendum.
Miss Sturgeon ha detto che questo permetterebbe alla Scozia di far presente all’Unione europea, prima che la Brexit diventi concreta, che è sua intenzione avere una “differente relazione” da quella della Gran Bretagna, e probabilmente consentirle un più rapido ingresso autonomo.
Un portavoce del governo di Londra ha dichiarato che «un secondo referendum sarebbe divisivo e provocherebbe un’enorme incertezza economica, nel peggior momento possibile». E, precedentemente, la Commissione europea ha fatto presente a Miss Sturgeon che la Scozia dovrebbe partire da zero, nel processo di adesione all’Ue, che non sarebbe, cioè, automatico.
Il Primo ministro scozzese ha negato di avere intenzione di indire un referendum senza tener conto della posizione inglese. L’annuncio recente avviene a ventiquattr’ore dall’innesco ufficiale della Brexit da parte di Theresa May e dopo la pubblicazione di un nuovo sondaggio che dà i nazionalisti ancora in lievissimo vantaggio, con un certo numero di indecisi, ma quasi alla pari. Da quando la Gran Bretagna ha votato per il Leave, Miss Sturgeon ha ripetutamente dichiarato che un secondo referendum è “altamente probabile”; va ricordato che gli scozzesi votarono al 62 percento contro il 38, per rimanere nell’Ue.
Il manifesto politico dello scorso anno dello Scottish National Party dichiara che il partito si sarebbe battuto per un secondo referendum se si fosse verificato “un significativo cambiamento materiale” nella condizione della Scozia dopo il referendum del 2014 (in cui vinsero i nazionalisti per 55 a 45 percento con un altissimo numero, l’85 percento, di votanti). La Brexit non è proprio questo “significativo cambiamento materiale”? Sturgeon dichiarò allora che comunque un secondo referendum si sarebbe indetto solo se si fosse costatata una crescita significativa nell’opinione pubblica per l’indipendenza.
Parlando in conferenza stampa, la Sturgeon ha accusato il governo di Londra di “intransigenza”, per il suo rifiuto di elaborare un piano per consentire alla Scozia di rimanere nel mercato unico quando il resto della Gran Bretagna ne uscirà. E ha parlato di «una scelta, se seguire la Gran Bretagna in una hard Brexit o diventare un paese indipendente, capace di costruire relazioni paritarie con il resto della Gran Bretagna e una propria posizione con l’Unione europea». E ha aggiunto che sarebbe “appropriato” tenere un secondo referendum in autunno, quando i dettagli del percorso della Brexit saranno più chiari, ma certo non dopo la primavera del 2019, quando il percorso di uscita della Gran Bretagna dall’Ue dovrebbe terminare. Se non fosse così, la Scozia si troverebbe in una situazione di estrema incertezza e, laddove lo volesse, anche con difficoltà a entrare nel mercato unico europeo.
Insomma, la Sturgeon ha voluto giocare d’anticipo, prima che l’approvazione della Camera dei Lord e della Camera alta desse alla May l’autorizzazione a invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per dare forma concreta alla Brexit. Sullo sfondo – dovuto anche al crollo del prezzo del petrolio, vera risorsa “naturale” della Scozia – il crescere di difficoltà economiche e il crollo del welfare, nonostante la devolution abbia lasciato discreti margini di agibilità agli scozzesi.
Gli economisti intanto, a petto di una possibile indipendenza, si chiedono: cosa farà la Scozia indipendente, si terrà la sterlina come moneta o utilizzerà l’euro? Alla fine, però, è una decisione politica. Tenendo presente che oltre alla Scozia potrebbe aggiungersi l’Irlanda del Nord, dove una grande maggioranza votò per restare nella Ue nel referendum del giugno scorso. Su tutto influirà anche il “triplete” delle elezioni di quest’anno – in Olanda, Francia e Germania – dove sembrano prendere forma forti correnti anti-europeiste.
L’Europa sembra sottoposta a trazioni uguali e contrarie. La verità è che, a sessant’anni dai primi suoi Trattati, tutto andrebbe rimesso in discussione.

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