Tunisia, la rabbia popolare nelle piazze non si ferma

Tunisia, la rabbia popolare nelle piazze non si ferma
In Tunisia si continua a protestare contro il governo e la crisi. Tra le rivendicazioni anche il rilascio degli arrestati negli scontri con la polizia degli ultimi giorni nelle varie regioni del paese.

 

Il popolo vuole abbattere il sistema corrotto

A una settimana dagli scontri in Tunisia, il popolo non molla e continua a protestare contro la crisi politica, economica e sociale che dilaga nel paese. I giovani sono stati i protagonisti di queste piazze di fuoco. In diverse città sono scesi nelle strade per manifestare contro la repressione della polizia, la corruzione e la povertà.
Le proteste sono iniziate contro la mancanza di lavoro, per la dignità dei poveri e il rilascio dei detenuti, ma poi sono seguiti scontri notturni tra forze di sicurezza e giovani tunisini.
Per diverse notti si sono registrati ulteriori arresti; i metodi repressivi delle forze di sicurezza di certo non sono mancati.
Siamo di fronte a una situazione politica ed economica in profonda crisi, in cui lo Stato tunisino si ritrova indebitato fino al collo. Le esigenze economiche e sociali irrisolte si trasformano in rabbia popolare nelle piazze.

In qualche modo assistiamo alla materializzazione della rabbia che si manifesta negli scontri con la polizia e negli incendi per le strade. Le forze di sicurezza hanno risposto con i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua; i giovani con lanci di pietre, fuochi d’artificio e incendi nei pressi dei luoghi della guerriglia urbana.

Gli arresti

Sale a più di 1.000 il numero degli arresti a causa degli scontri avvenuti nelle maggiori città della Tunisia. Nonostante la polizia abbia dato delle versioni differenti rispetto al numero dei catturati, i gruppi tunisini per i diritti umani hanno contestato la cifra, affermando che è molto più alta e quasi superiore al migliaio.
Alcuni giovani, secondo le organizzazioni tunisine, sono stati arrestati senza nessuna ragione valida. La determinazione dei manifestanti ha di fatto costretto il Ministero della Difesa a intervenire. Il governo, nel tentativo di disperdere il caos, ha deciso di dispiegare l’esercito in diverse città. Il ministro della Difesa Mohamed Zekri ha affermato che «l’obiettivo dei militari è quello di proteggere le istituzioni e prevenire qualsiasi atto di caos». Nonostante le elezioni democratiche, le proteste continuano a infuocare tutto il paese, soprattutto nelle regioni centrali e meridionali dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 30% e il livello di povertà è superiore al 20% del totale.

La democrazia popolare è la soluzione

Il Fondo monetario internazionale ha esortato le autorità di Tunisi a stabilire un piano di riforme economiche e sociali mentre il paese lotta contro l’epidemia di Covid e la crisi economica.

Tra gli striscioni e i cartelli che hanno sfilato in corteo in queste settimane è apparsa evidente una frase: «La democrazia popolare è la soluzione». Non è rivendicata esclusivamente maggiore democrazia, ma il diritto di riappropriarsi delle proprie strade e delle proprie città. Non è semplicemente rivendicata maggiore rappresentatività, ma un netto cambiamento del sistema di potere – ormai corrotto e incapace di fare gli interessi e le necessità degli strati popolari.
Nei giovani c’è il futuro di questa terra. Si organizzano, scendono nelle strade, si mettono in gioco per il proprio futuro. In loro forse c’è già cambiamento. Un cambiamento non solo istituzionale ma soprattutto sociale. È un processo, e nel processo potrebbe accadere di tutto. Sta nella lotta e nell’organizzazione la chiave rivoluzionaria. Di sicuro il popolo è agguerrito e non si lascerà compromettere facilmente.

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