Covid-19: tamponi, tamponi, tamponi e soldi

Covid-19: tamponi, tamponi, tamponi e soldi

L’emergenza Covid-19 sta portando alle estreme conseguenze crisi sanitaria e crisi economica. È un dato di fatto: lo smantellamento della sanità, la riduzione del personale, la chiusura di tantissimi ospedali, la privatizzazione progressiva del servizio sanitario hanno certamente acuito l’andazzo della crisi da Covid-19. A tutto questo si aggiunge però la miopia, l’incapacità e l’arroganza di uno Stato che si confronta solamente in modo burocratico e militare con i territori su cui impone la sua sovranità.

Il moltiplicarsi delle richieste espresse dai territori affinché si avvii, seppure in ritardo, un piano di prevenzione, monitoraggio e reale contenimento del contagio – perlomeno dove l’epidemia non è ancora esplosa in modo incontrollato – rimangono ottusamente inascoltate. Le risposte dello Stato, del Governo e delle burocrazie sanitarie rimangono «state tutti a casa» e «mantenete le distanze». Una ignobile ipocrisia se si pensa ai 12 milioni di lavoratori che Confindustria ha imposto al solerte Conte di tenere legati ai luoghi di lavoro.

Si tratta di “lavori essenziali” di cui non si può fare a meno, ripetono le istituzioni governative e i loro media.  Così apprendiamo che nel pieno dell’emergenza contagio “non si può fare a meno”, ad esempio, di produrre armi, sedie di plastica, scaffalature metalliche e lavastoviglie. E questo perché il Governo, di concerto con Confindustria, ha costruito l’elenco delle attività da bloccare con i codici generici ATECO. Mica è andata a vedere, settore per settore, tutto quello che poteva effettivamente essere fermato in modo da contenere, almeno in parte, l’epidemia.

Questo è il modello Italia! Medici senza dispositivi di protezione e tamponi  solo per sintomatici più cerchia dei contatti (e non sempre, e non sollecitamente) o al massimo per personale sanitario e forze dell’ordine. Niente tamponi per individuare gli asintomatici dunque. A ciò si aggiungono i pochissimi laboratori analisi attivati, sprovvisti di personale e con tempistiche di analisi disastrose.

I medici di base e gli ospedalieri chiedono mascherine, controlli sanitari sui posti di lavoro e più tamponi. Ecco cosa risponde il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro: «La circolare del Ministero della Salute indica di sottoporre a test le persone sintomatiche. Altre politiche sull’uso dei tamponi non sono state esaminate. Ci sono esperienze a livello internazionale che potranno eventualmente essere prese in futuro in considerazione». Già, lo dice la circolare, ma perché? Perché solo ai sintomatici? E quale dovrebbe essere questa eventualità che li indurrebbe a considerare altre esperienze a livello internazionale valide? Che vuol dire potranno essere prese in futuro? Quando?  Quando il contagio sarà ovunque fuori controllo ?

E sulla richiesta di estensione dei tamponi, se non a tutti almeno agli obbligati al lavoro, il Ministro Speranza risponde affermando che il tampone «non è sufficiente, è la fotografia di un istante. L’incubazione del virus dura 14 giorni, se la persona fa il tampone in uno di questi giorni ha solo l’illusione di aver risolto il problema. La soluzione è invece l’isolamento: solo così avremo certezza che non sarà positiva, altrimenti abbiamo l’illusione della negatività del momento, ma magari potrebbe essere positiva due giorni dopo». Ma i tamponi servono anche a monitorare l’andamento del contagio e la quantità degli asintomatici. Non si tratta di un solo test/tampone ma, come nel caso di Vo’ – dove le autorità sanitarie sono riuscite a contenere l’epidemia – i test devono essere ripetuti più volte anche alle persone che non manifestano alcun sintomo, proprio per aver conto del contagio e rendere significativa la quarantena.

Giorgio Parisi, esperto di sistemi complessi dell’Università Sapienza di Roma e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, oltre che presidente dell’Accademia dei Lincei, sostiene che «il numero totale dei contagiati non corrisponde alla realtà: bisogna capire quanti ne mancano. Va cambiata politica del campionamento: bisogna cercare di fare più tamponi». Susanna Esposito, presidente WAidid (Associazione Mondiale delle Malattie Infettive e i Disordini Immunologici) e professore ordinario di Pediatria all’Università di Parma sostiene che «diagnosi precoce, isolamento e trattamento sono i cardini per tenere a bada l’epidemia. Ma la tracciabilità si rivela fondamentale. I positivi asintomatici o paucisintomatici (con lievi sintomi) continuano a mantenere alta la circolazione del virus e recenti dati pubblicati su The Lancet dimostrano come la mediana dell’eliminazione virale sia di 21 giorni. Ciò significa che una parte di positivi in Italia circola liberamente perché non sa di essere positiva e un’altra parte esce di casa ancora positiva dopo la quarantena domiciliare di 14 giorni perché nessuno controlla che il tampone si sia negativizzato. Ritengo sia corretto invitare la popolazione a stare a casa, ma non basta. È essenziale che ai contatti stretti di casi positivi sia effettuato il tampone per la ricerca di Covid-19, cosa che finora è avvenuta in un’assoluta minoranza di situazioni».

Non lavorare alla tracciabilità degli asintomatici è davvero un controsenso. Significa – al contrario di quanto ci viene raccontato – che si è già abbandonata l’idea stessa di contenere il contagio.  I bollettini delle ore 18 del Ministero della salute non rispecchiano la realtà ed i primi a confermarlo sono proprio gli operatori sanitari più impegnati, che tra la disorganizzazione delle ASP, le insufficienze dei mezzi, le direttive caotiche che vengono dallo Stato, passano progressivamente dalla rassegnazione alla disperazione. Il caso di Bergamo è emblematico e non è che un caso tra tanti. L’unica cosa che i bollettini delle 18 raccontano di vero è il fallimento di Stato e Governo. Nel frattempo, l’epidemia si estende.

E Musumeci? E l’opposizione?

Che Musumeci sia un parolaio senza costrutto è ormai cosa risaputa. In uno dei suoi ultimi show televisivi ha strappato le mascherine di carta inviate dal Governo e lanciato il suo «non siamo carne da macello». Qualcuno, forse anche solo per un attimo, ha pensato ad un salto di qualità del Presidente. Vuoi vedere che Musumeci, alla fine, qualcosa fa – come Zaia o il Sindaco di Vo’ – per pianificare a livello regionale il contenimento del virus? Macché, Musumeci è ligio alle disposizioni del Governo e, poiché non si sa mai come vanno a finire le cose, chiede l’invio dell’esercito. Però, ad onor del vero, qualcosa – insieme al fido Cocina e al furbo Pierobon – la fa: emana l’ordinanza dal suggestivo titolo Ricorso temporaneo ad una speciale forma di gestione dei rifiuti urbani a seguito dell’emergenza epidemiologica da virus Covid-19. Di che si tratta? Di previsioni derogatorie ampliative per le discariche. E così il prode Musumeci approfitta delle misure governative per il trattamento dei rifiuti prodotti nelle case dei positivi al Covid-19 per ampliare, in deroga alle disposizioni vigenti, la ricettività delle discariche siciliane. Dice bene Musumeci: non siamo carne da macello, ma carne per discariche.

Intanto sindaci e associazioni di medici di base inviano a Musumeci proposte, richieste, appelli. Ma l’astuto Musumeci non risponde. Lui fa! E autorizza a partire dal 28 marzo, come  “misura di prevenzione e contrasto” del contagio, l’aumento dei laboratori per l’analisi dei tamponi, che passano così da 12 a 20. I tamponi per chi? Per il personale sanitario, per i sottoposti a quarantena obbligatoria e per i positivi al coronavirus in isolamento domiciliare. Meglio tardi che mai, si dirà. Ma l’inefficienza dei laboratori esistenti, dimostrata già a partire dai primi di marzo nella lavorazione dei tamponi (in moltissimi casi non vengono fatti o hanno tempi di risposta che superano i venti giorni), ci dice che 20 laboratori non bastano assolutamente, soprattutto, come riferisce lo stesso Musumeci, in previsione dei 7000 contagi in Sicilia. 

E a partire dalle insufficienze politiche di Musumeci e della sua Giunta ecco che prende fiato l’opposizione:  «Abbiamo chiesto che si proceda a tamponi periodici, ogni quattro giorni al massimo, per tutti gli operatori sanitari, compresi i medici di famiglia. La disponibilità di una decina di laboratori pubblici e dei trenta privati che sono stati autorizzati dovrebbe riuscire a fare fronte alla necessità». Le proposte avanzate dall’opposizione in verità sono sedici (7 di ordine sanitario e 9 di ordine economico). Ma anche qui, tuttavia,  nessuno si azzarda a proporre tamponi per tutti. unico puntuale metodo di tracciatura del contagio. Sembra proprio che nessuno li voglia fare. Ma perché? Costano troppo? Il pragmatismo dei nostri politici ritiene impossibile farli a tutti per mancanza di strutture, di personale e di capacità di pianificazione? In una situazione eccezionale occorrono sforzi eccezionali in risorse e pianificazione. E chi non se la sente si dimetta subito.

Lo ripetiamo: l’unica misura di prevenzione e contrasto che abbia senso nell’immediato è quella che tende a rendere palese il numero degli asintomatici che vanno a lavorare, che fanno la spesa, che se ne vanno in giro con le autocertificazioni di Conte.

… e poi c’è la situazione economica

Che la pandemia di Covid-19 abbia fortemente acuito la crisi economica strutturale scoppiata nel 2008 è ormai un fatto da tutti riconosciuto, ma che le regioni economicamente più deboli ne risentiranno in modo particolarmente drammatico sembra proprio che al Governo non interessi affatto. O forse no. Forse, ne tiene conto attraverso l’invio dell’esercito a controllo dell’ordine pubblico (nella riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza tenuta l’8 marzo l’ordine del giorno fu proprio questo).

Le misure governative dal nome Cura Italia attualmente al vaglio del Senato prevedono aiuti per imprese, dipendenti, partite IVA e famiglie:

  • Per le imprese è previsto un credito d’imposta del 50% per le spese sostenute di sanificazione dei luoghi di lavoro.
  • Per i dipendenti costretti ad andare nelle sedi di lavoro e con un reddito non superiore ai 40 mila euro è previsto, per il mese di marzo, un “premio” giornaliero di 3,84 euro
  • Per le famiglie con padre e madre che lavorano è previsto il congedo parentale di 15 giorni al 50% della retribuzione o un bonus da 600 euro per pagare la baby sitter. Ovviamente questo bonus è fruibile solo da chi ha attivato un regolare contratto sul sito Inps.
  • A favore di commercianti, artigiani e di tutte quelle attività che pagano l’affitto per un locale commerciale di piccola taglia e che sono state costrette a ridurre l’attività o a chiudere i battenti viene riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione del mese di marzo. E naturalmente la detrazione – specifica il decreto Cura Italia– è utilizzabile esclusivamente in compensazione con le imposte dovute nell’anno.

Un palliativo? Proprio così, un palliativo inefficace che non tiene conto della moltitudine di lavoratori in nero e irregolari, ovvero coloro i quali non potranno beneficiare né di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, né dei bonus del governo, poiché «lavoratori non in costanza di rapporto di lavoro».

In Sicilia si stima che le percentuali del lavoro nero, irregolare, precario – questo d’altronde è il mercato del lavoro in Sicilia – si aggirino intorno al 21,2%, ripartite nei settori dell’agricoltura (38%), dell’edilizia (25%), dei servizi (21,5%) e del manifatturiero (11,9%).

Come dovrebbero “campare” queste persone?

Anche il nuovo decreto di Conte, quello di sostegno ai Comuni, ha più un carattere palliativo che di intervento fattivo a favore della popolazione. I 4,3 miliardi sono soltanto un’anticipazione del Fondo di solidarietà dei Comuni. Si trovavano quindi già nelle previsioni d’entrata dei Comuni e hanno altre destinazioni oltre l’aiuto per chi è rimasto senza reddito. I 400 milioni alla Protezione civile sono, invece, soldi realmente aggiuntivi, ma assolutamente insufficienti. Alla fine si tradurranno in poche decine di euro per ogni famiglia in difficoltà.

All’emergenza Covid-19 si somma dunque l’emergenza mancanza reddito. Si attendono assalti ai supermercati fronteggiati dall’esercito chiamato da Musumeci?

Che fare quindi?

Se si vuole contrastare il diffondersi del virus occorre uno sforzo collettivo gigantesco, risorse economiche e capacità di pianificazione. Individuiamo in 9 punti ciò che ci sembra più urgente:

1. Disporre per tutte le ASP siciliane l’estensione dei tamponi: se non a tappeto, almeno alla cerchia allargata dei contatti dei positivi;

2. Tamponi, guanti e mascherine per tutte le persone costrette al lavoro e sanificazione obbligatoria di tutti gli ambienti di lavoro;

3. Aumentare i laboratori che si occupano dell’analisi dei tamponi attivando i laboratori di Biologia molecolare presenti nelle ASP  o, eventualmente, i laboratori delle facoltà di Biologia e Veterinaria;

4. Requisire tutte le strutture private convenzionate in modo da aumentare i posti letto disponibili in rianimazione;

5. Dotare immediatamente dei Dispositivi individuali di protezione il personale sanitario;

6. Aumentare la dotazione di respiratori e ventilatori;

7. Garantire la distanza di sicurezza nei posti di lavoro;

8. Mantenere aperti solo i posti di lavoro che producono beni veramente essenziali;

9. Erogare un reddito di emergenza straordinario per 3 mesi che garantisca la sussistenza a tutti i senza reddito.

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