Soldi alle famiglie. Ma i pescatori restano in Libia

Soldi alle famiglie. Ma i pescatori restano in Libia
Mentre lo Stato italiano promette di stanziare fondi per le famiglie dei pescatori sequestrati in Libia, la destra infuria invocando la guerra. Ma qual è veramente la soluzione?

 

Soldi, ma nessuna soluzione

Un’emendamento al Decreto Rilancio, votato al Senato, potrebbe permettere alle famiglie dei pescatori e agli armatori dei pescherecci sequestrati di ricevere 500mila euro. Anche dallo Stato italiano, quindi, dopo lo stanziamento della Regione, potrebbe arrivare un aiuto economico a sostegno delle vittime di questa assurda vicenda.
Resta da capire quando effettivamente questi soldi arriveranno in mano ai destinatari. I 150mila euro stanziati dalla Regione – secondo quanto riportato da alcuni dei familiari recentemente – non sarebbero ancora arrivati. Queste operazioni hanno più l’aspetto di trovate mediatiche volte a salvare la faccia dalla cattiva figura che si sta consumando a Palermo e, soprattutto, a Roma.

 

Perché ancora prigionieri?

Su questo, infatti, vale ancora la pena soffermarsi e torniamo a chiederci: che differenza c’è tra i 17 marinai dell’imbarcazione turca e i 18 pescatori mazaresi? I primi sono stati liberati il 10 dicembre, cinque giorni dopo il loro sequestro. I nostri, al contrario, sono trattenuti da oltre 100 giorni e nessuno sa per quanto ancora rimarranno prigionieri in Cirenaica. Da cosa nasce questa differenza? Da un lato, c’è stata la fermezza di Erdogan e la sua abilità nel far pesare la propria superiorità militare. Dall’altro, un approccio timido, attendista, mirato probabilmente più a difendere gli interessi dell’ENI in Libia che a trattare con il “rivale”Haftar. Sull’esito negativo del sequestro dei pescherecci mazaresi hanno verosimilmente influito anche la scarsa credibilità diplomatica del Ministro degli Esteri e l’appoggio militare e logistico da parte del Governo italiano ad Al Serraj.

 

Qual è la soluzione?

La destra italiana sostiene che, per salvare i pescatori, bisognerebbe alzare ancora il tiro. Gli fa eco il vescovo di Mazara, Domenico Mogavero, che – come se fosse il San Giorgio del momento – invoca l’intervento dei corpi speciali e predica la guerra. Ma la liberazione dei marinai dell’imbarcazione turca ci insegna, al contrario, che le trattative possono avere successo solo sapendo bilanciare fermezza e distensione. Ne sono prova le parole del portavoce di Haftar, Al-Musmari: «sebbene la guerra con la Turchia sia ancora in corso, entrambi abbiamo fermato il fuoco, nel rispetto degli sforzi internazionali e nel rispetto del desiderio dei libici di raggiungere un accordo»
I corpi speciali, le azioni di guerra, le provocazioni sono soluzioni miopi e deleterie per la liberazione dei 18 pescatori. Ciò che serve è alleggerire le tensioni che si sono create tra l’Italia e la Cirenaica, bloccare l’escalation militare e il rifornimento di armi che minacciano, ancora una volta, la soluzione della guerra civile libica. È questo, solo questo, il carico che il governo italiano può e deve gettare sul piatto della trattativa per liberare i pescatori di Mazara.

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