Il nuovo giuramento di Pontida

Il nuovo giuramento di Pontida

Ora che tanti siciliani hanno manifestato le proprie idee sulla presenza di Musumeci a Pontida, ora che le bocce si sono fermate e però non ci possiamo permettere di lasciar cadere l’episodio nell’oblio, è opportuno fare qualche considerazione su ciò che la partecipazione del nostro Governatore a quel raduno potrebbe comportare per la Sicilia.
Per cominciare, ci chiediamo quali possano essere stati i motivi del gesto compiuto dal Presidente Musumeci. Quello che più facilmente viene in mente è riconducibile all’attuale debolezza del governo regionale. Una debolezza che ha costretto Musumeci a rinviare la legge finanziaria, dichiarare la propria incapacità a mantenere gli impegni economici, rimangiarsi le promesse di interventi risolutivi del dissesto ambientale, ignorare le proteste popolari contro le micidiali antenne MUOS, rinviare alle calende greche il “piano rifiuti”, le opere di bonifica e di salvaguardia territoriale. Scoprendosi debole, il Presidente Musumeci si sarebbe sentito in diritto di cercare nuova forza nel governo nazionale, genuflettendosi davanti al potente Ministro degli Interni.
Un secondo motivo, anche questo piuttosto credibile, sta nel fatto che avendo Musumeci un’anima fascista in stile Giovane Italia anni ’70, ha creduto bene di schierarsi col razzismo, col dispotismo nazionalista e col bellicismo aggressivo di Salvini. Di conseguenza, il Presidente siciliano può avere inteso il raduno di Pontida come un raduno di camicie nere, sentendo così l’obbligo morale di partecipare.
Un terzo motivo, anche questo verosimile, va cercato nel fatto che la presenza di ardenti autonomisti nella giunta e in assemblea avrebbe colorato di “pericolose” tinte autonomistiche l’amministrazione Musumeci, con conseguente turbamento dell’ultra-nazionalista Salvini. Precipitandosi a Pontida, Musumeci avrebbe inteso cancellare questo peccato originario, nascondere l’ingombrante verità, magari fornendo le necessarie assicurazioni su un imminente accomodamento.
Per ultimo va ricordato il motivo, questa volta palesemente infondato, della “cortesia”; un motivo sbandierato dallo stesso Musumeci dal palco di Pontida. Io, ripeteva Musumeci, sono un galantuomo e se vengo invitato non posso che accettare – figuriamoci! Peccato che lo stesso Musumeci è il primo a ridere di questa panzana. Con le doti del ciarlatano che di certo non gli difettano, ha voluto far credere che lui ai “nordisti” sa mostrare i denti: “Il Nord senza il Sud non va da nessuna parte” ha avuto l’ardire di gridare al microfono, anche al costo di prendersi in cambio una bordata di pernacchie. Se prescindiamo da questo ultimo, e ridicolo, motivo gli altri tre contengono qualche fondatezza. Non è tutto, certo, ma è abbastanza.
Tanti siciliani hanno manifestato il proprio sconcerto per la spudorata comparsa del Presidente a Pontida. Molti si sono sentiti umiliati nel vedere il Presidente inchinarsi davanti a un personaggio come Salvini, visceralmente antisiciliano nonostante le recenti, e ipocrite, dichiarazioni contrarie. Molti siciliani si sono accesi di rabbia nel constatare di essere stati traditi, ingannati, da chi invece avrebbe dovuto difenderli. Tante, e così variegate, reazioni non sono solo comprensibili ma anche incoraggianti; dimostrano, infatti, che in Sicilia è ancora vivo il sentimento di indipendenza, la fierezza, il legame con la propria terra. L’irritazione di tanti siciliani per il comportamento servile di Musumeci è prova della crescente contrarietà verso chi pensa di svendere i bisogni di un popolo. Infatti, affermare che “il Sud non può fare a meno del Nord” è il più grosso attacco alla domanda di autogoverno che scaturisce con forza sempre maggiore dal territorio siciliano; la più meschina concessione a coloro che quotidianamente sfruttano e tengono soggiogati i nostri giovani, le donne, i lavoratori, gli immigrati.
Noi ci uniamo a questo incoraggiante coro di protesta, sempre più convinti che occorre battersi per il riscatto politico economico e morale del territorio in cui si vive. Tuttavia, pensiamo che non basti indignarsi per ciò che ha spinto Musumeci tra le braccia di Salvini; occorre capire le ragioni per cui Salvini ha “invitato” Musumeci a Pontida. E qui il discorso si fa scabroso. Vediamo perché.
Per cominciare, osserviamo che a Pontida si sono presentati i governatori di tre, delle cinque, Regioni a statuto autonomo. A Pontida nel 1167 si era stretto un patto contro il Barbarossa e l’Impero; adesso, invece, il patto sembra stringersi contro le “autonomie speciali”. Un patto deplorevole, che ci obbliga a trovare le vie d’uscita; l’attacco alle autonomie e agli statuti speciali ci deve mettere in allarme.
In una recente intervista, il sociologo forzista e attuale Presidente della Regione salentina, Paolo Pagliaro, ha affermato che il progetto strategico di Salvini è orientato alla costituzione di una “Federazione Europea delle Regioni”. Il progetto prevede l’abolizione di ogni “specialità statutaria” – come quella che caratterizza le regioni a statuto speciale, tra cui la Sicilia. A Pontida accanto ai vari governatori Toti, Zaia, Toma, Fontana si sono presentati Spelgatti (dalla Valle d’Aosta), Fedriga (dal Friuli-Venezia Giulia) e il buon Musumeci. Il Governatore della Sardegna, il PD Pigliaru, non si è presentato per comprensibili “ragioni di partito”; al suo posto, però, sono intervenuti numerosi consiglieri regionali e alcuni coordinatori provinciali. Una così ampia rappresentanza delle regioni si spiega nel quadro della stretta anti-autonomista che Salvini si accinge a mettere in atto contro le regioni a statuto speciale, primo passo per la formazione della federazione. Come lo stesso Salvini ha dichiarato dal palco di Pontida: “bisogna superare i confini regionali e nazionali, dando vita alla Lega delle Leghe d’Europa”. Dove Renzi ha fallito, per la sconfitta subita al referendum costituzionale del 2016, Salvini riprova. A questo mira l’invito al Governatore siciliano.
La mossa di Musumeci pone a tutti gli indipendentisti siciliani domande inquietanti sul futuro del nostro territorio, che rischia di venire scippato dei pochi privilegi che ancora gli rimangono. Se da una parte l’indipendentismo siciliano si è sempre pronunciato (e giustamente) contro lo Statuto autonomo e contro la sua limitata e distorta applicazione, dall’altra non può assistere in silenzio all’ulteriore indebolimento della Sicilia. Non possiamo accettare che la Regione affoghi in un oceano federale, né che subisca ancora di più l’arroganza dei poteri forti. È ora che gli indipendentisti reagiscano, unendo le proprie forze per contrastare una manovra che prevede di incrementare lo sfruttamento dell’isola e dei suoi abitanti.

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