Il 1945 in Sicilia: una storia parallela

Il 1945 in Sicilia: una storia parallela
La Storia del dopoguerra, nella narrazione dominante, si configura come unitaria; come se, dal Piemonte alla Sicilia, avesse avuto gli stessi caratteri. Studiare la storia siciliana, secolo per secolo, conferma invece che quella dell’Isola è una storia parallela.

Abbiamo voluto ripercorrere un segmento della storia del Movimento separatista siciliano; in particolare il 1945, anno che in tutto il mondo è stato di grande cambiamento. In Sicilia ha assunto un volto tutto suo. È stato l’anno delle grandi vittorie del movimento indipendentista, delle rivolte e dello scontro militare altissimo. Un anno in cui si è visto da vicino l’orizzonte della liberazione della Sicilia dallo Stato Italiano.

 

Origine e storia del separatismo

La nascita del movimento indipendentista è fissata al Luglio 1943. La Sicilia è il primo territorio invaso dagli eserciti alleati. I tedeschi si erano ritirati, la guerra sembrava finita.

La battaglia che si combatté in Sicilia fu breve ma terribile. Nei 38 giorni dei combattimenti, l’esercito italiano perdette 167mila uomini, quello tedesco 37mila, gli anglo-americani 31mila. Nessuno, però, contò le vittime siciliane; uccisi, feriti, cacciati dalle proprie case, derubati. Vittime di una guerra che non sentivano loro.

Dopo l’arresto di Mussolini, dall’Italia si apprese che la guerra stava continuando. L’armistizio venne firmato l’8 settembre, ma con i tedeschi al Nord il conflitto non si arrestava. Soldati siciliani erano dispersi ai capi del mondo, il governo italiano provvisorio ne richiedeva ancora. Fu in quel momento che in Sicilia rinacque un sentimento separatista. La Sicilia non c’entra nulla, basta con l’Italia! – è questa la reazione istintiva che si ramificò in tutta l’Isola. In quei mesi l’idea di indipendenza divenne il comune denominatore di qualsiasi iniziativa politica.

Dopo un paio di anni di costruzione del movimento politico e progressivo innalzamento dello scontro con le istituzioni politiche e militari dello Stato italiano, l’ondata di conflitto proseguì anche durante il 1945 – raggiungendo l’apice della tensione.

 

Il movimento Non si parte

Decine di paesi furono fulcro di rivolte popolari, in gran parte collegate al movimento Non si parte contro la leva militare. Questo movimento è stato etichettato dalla storiografia ufficiale come filo-fascista e reazionario. Di fatto, fu espressione di un’avversione al militarismo da parte di una popolazione stanca, a cui veniva imposto di ritornare sul fronte e di mandarci i propri figli – questa volta contro un nuovo nemico. La popolazione rifiutò il nuovo obbligo di leva, ennesimo sopruso ai danni di una terra già dilaniata dalla guerra.

Gli slogan principali di quel tempo spaziavano da «non un soldo, non un soldato oltre lo Stretto senza il nostro consenso», al più popolare «pane e lavoro».

 

L’insurrezione popolare

Azioni violente di massa, con assalti ai pubblici uffici e rivolte nei paesi, portarono in molti casi alla conquista del potere locale, alla creazione di comitati rivoluzionari e di milizie popolari. In alcuni casi l’intento insurrezionale si manifestò con la proclamazione di repubbliche comunali.

A Palermo e Catania si svolsero manifestazioni molto conflittuali – in entrambe le città vi furono vittime tra i manifestanti. A Piana degli Albanesi nel febbraio del ’45, per ben 50 giorni, fu proclamata una Repubblica popolare. Solo dispiegando 2.000 uomini delle forze armate, lo Stato italiano, dopo quasi due mesi, riuscì a penetrarvi e ristabilire il controllo.

L’Alto Commissario Aldisio, dalle testimonianze degli indipendentisti ancora vivi, è individuato come il nemico principale del movimento.

La strategia di Aldisio si basava sul rafforzamento della Democrazia Cristiana e di altri partiti nazionali in Sicilia – facendovi confluire il più possibile forze disparate – e sull’asprissima repressione.

 

La nascita dell’EVIS

In questo scenario, tra le fila del movimento vi fu un’ala che passò alla clandestinità e iniziò ad organizzare la lotta armata. Il generale Canepa fu incaricato di formare la banda clandestina nella zona del catanese. A Palermo dopo un momento di disorganizzazione iniziale, fu inviato il militante Castrogiovanni da Catania per organizzare un gruppo armato.

Quindi, mentre nei boschi vicino Messina, a Cesarò, si costituiva l’EVIS sotto il comando di Canepa, sul piano istituzionale Finocchiaro Aprile firmava un memoriale inviato alla Conferenza internazionale di San Francisco che richiedeva il riconoscimento del diritto di autodecisione del popolo siciliano. Sia sul piano militare che istituzionale la questione siciliana acquistava sempre più peso.

 

Un crescendo di violenze 

La preoccupazione di Roma aumentava sempre di più, sia per via del conflitto sul territorio siciliano, sia per la svolta internazionale che la questione stava prendendo. Gli indipendentisti avevano  stabilito contatti internazionali inoltrando comunicati alle massime autorità inglesi e americane. Sul territorio siciliano vi era infatti una massiccia presenza dell’Amgot – organo militare deputato all’amministrazione dei territori occupati dagli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Denunciando la condotta estremamente violenta e repressiva dello Stato Italiano. speravano che le due potenze si sarebbero schierate dalla loro parte.

Per riassumere il 1945 bisogna dire che è stato l’anno più ricco di operazioni militari. Per citarne alcune: rastrellamento del campo di addestramento dell’Evis il 31 maggio, distruzione della sede catanese del Mis il 24 aprile, uccisione di Canepa il 17 giugno, attacco dell’Evis a un convoglio ferroviario sulla Messina- Catania a luglio. Il l 24 agosto, l’Alto Commissario Aldisio inoltrò una relazione al consiglio dei ministri dove sottolineava la pericolosità della situazione siciliana. Il 3 ottobre vengono mandati in esilio i dirigenti politici del Mis: Finocchiaro Aprile, Varvaro e Restuccia. Usciti da una riunione in via Ruggero Settimo, furono arrestati dalla polizia, caricati in macchina e portati sull’isola di Ponza – dove rimasero per i successivi sei mesi.

 

L’alleanza con Salvatore Giuliano

Un elemento a parte è l’alleanza del movimento con Salvatore Giuliano.

Le necessità di un accordo con Giuliano riguardavano la possibilità, per le bande armate dell’Evis, di accedere alla montagne intorno a Palermo. Queste erano completamente sotto il controllo del bandito, era quindi impensabile poter accedervi senza il suo benestare.

Tanto si è detto sulla figura di Salvatore Giuliano. Da diverse interviste ai militanti del movimento ne esce la descrizione di un uomo di onore e sani principi, «l’unico tra i banditi del tempo capace di avere sentimenti e idee. E i suoi erano idee e sentimenti indipendentisti».

Se infatti inizialmente quello doveva essere solo un accordo di reciproco benestare, Giuliano sposò le idee separatiste, contro i soprusi italiani di cui lui stesso era stato vittima. Cominciò così a collaborare attivamente nella lotta armata indipendentista.

Alcuni smisero di considerarlo un bandito. Soprattutto per i più giovani, egli rappresentava il più valoroso combattente indipendentista. Le bande armate, grazie a lui, diventarono sempre più forti. Dai rapporti delle forze dell’ordine si legge che avevano strategie tipiche militari. Effettivamente, nella banda di Giuliano erano presenti ex soldati partigiani.

 

 

La battaglia di San Mauro

Come ultimo episodio significativo che chiude il 1945 non si può non menzionare la battaglia di San Mauro del 29 dicembre.

Durante la battaglia di San Mauro, nei pressi di Caltagirone, 56 soldati dell’EVIS comandati da Concetto Gallo affrontarono un concentramento di reparti dell’esercito e della polizia – alcuni parlano di circa 5.000 uomini.

Fino al dicembre di quell’anno non vi era stato nessun attacco delle forze italiane contro il campo dell’Evis. Erano tra l’altro in corso delle trattative tra il movimento e lo Stato italiano.

Gli accordi presi con il generale Bernardi – con cui si gestivano le trattative – prevedevano uno stop alle operazioni repressive durante il periodo di dialogo. Il 29 dicembre vi fu invece un attacco al campo, con dei mandati di cattura per i capi. L’Alto Commissario Aldisio aveva scavalcato il generale e attuato l’operazione.

Sembrerebbe impossibile, ma dal punto di vista militare si può dire che i 56 soldati dell’EVIS vinsero la battaglia contro migliaia di soldati italiani.

L’obiettivo di eliminare l’intero gruppo armato indipendentista non fu infatti raggiunto. Le forze indipendentiste conoscevano bene il territorio ed erano posizionati sulla cima del monte. I siciliani resistettero tutto il giorno, per poi fuggire nella notte. Furono catturati solo il comandante Gallo e altri due suoi uomini. La mattina dopo i soldati e la polizia trovarono solo la bandiera dell’Evis sventolante sul monte.

 

Una storia parallela

Questa parentesi gloriosa per la storia della Sicilia si concluderà l’anno successivo, con la scissione del movimento e la falsa conquista dell’Autonomia.

Seppur non a lieto fine, questa storia rimane ancora oggi tutta da riscoprire e da raccontare. Dimenticata dai libri di storia, essa rappresenta uno dei momenti più alti di forza e dignità del popolo siciliano. In alcune interviste ai militanti si legge che, con le ultime mosse, «la rivoluzione l’avevamo rimandata al 2000».

 

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