Elezioni europee: note sull’anomalia della colonia siciliana

Elezioni europee: note sull’anomalia della colonia siciliana

Chiusi i seggi, cala il sipario e si riapre per i saluti di rito e i ringraziamenti. Si chiude quest’altra finestra elettorale. Le conseguenze del voto di ieri sono ancora tutte da verificare. Tutti, però, sembrano già pronti a guardare al domani e alla prossima, e neanche molto lontana, campagna elettorale. Noi, nel frattempo, proviamo a dare una lettura di quanto accaduto nella nostra Sicilia. Anche perché, al netto dell’andamento del voto su tutto il territorio italiano, la Sicilia si dimostra ancora una volta un’anomalia. 

Il Movimento 5 Stelle resta il primo partito in Sicilia ma perde oltre il 15% rispetto alle politiche di un anno fa. Il 4 marzo, in Sicilia, aveva raccolto 1,1 milioni di voti mentre adesso è arrivato solo a circa 480mila voti. Quindi qualcosa è andato storto. Di sicuro questa è la dimostrazione di quanto dicevamo pure all’indomani delle elezioni politiche del 2018. L’ enorme percentuale di votanti che aveva scelto il Movimento 5 Stelle in tutto il meridione, e quindi anche in Sicilia, l’aveva fatto secondo logiche slegate dalla tradizionale e sempre più residuale rete della clientela. Appunto per questo era di per sé un consenso volatile che facilmente sarebbe potuto sparire. Ovviamente così non è stato, o comunque non del tutto, ma non si può negare che i grillini abbiano pagato una serie di mosse politiche che non hanno soddisfatto i siciliani. Da quelle che riguardano i temi ambientali e di difesa del territorio da opere inutili e inquinanti a quelle del reddito di cittadinanza. Tutti temi portanti del M5S di cui, in parte, hanno tradito le aspettative.

E’ sicuramente un’anomalia anche la percentuale che la Lega raggiunge in tutta la regione, solo per il fatto che alle ultime europee, con il vecchio simbolo che portava ancora nel nome “nord”, non era neanche arrivata all’ 1% con circa 15mila voti. Il fatto che adesso si può definire il secondo partito in Sicilia con il 20% e 320mila voti (3 volte di più rispetto alle politiche), vuol dire almeno tre cose: la prima è che al contrario del Movimento 5 Stelle la Lega si può definire un partito nazionale e che a tutti gli effetti rappresenta il soggetto politico che si farà protagonista, legittimato anche da questo voto, del riassetto e delle trasformazioni che la forma Stato-Italia assumerà. In questo quadro la proposta leghista di regionalismo differenziato può essere un esempio. La seconda è che in Sicilia – come nel resto d’Italia ma con numeri leggermente ridotti – la Lega riesce a polarizzare l’elettorato di destra. E, infine, la terza, che ha pagato e funzionato il classico trasformismo politico che ha visto spostarsi dentro il contenitore Lega intere correnti di partiti e partitini del centro destra a partire da Forza Italia fino ad arrivare all formazione di Musumeci, Diventerà Bellissima. Infatti, il radicamento che nei territori siciliani è riuscito a costruire è dovuto proprio a queste figure: professionisti della politica anche vecchi e navigati, ma con un mucchio di voti da portare in dote al capitano in cambio di qualcosa. Tutta gente che rispetto ai politicanti morti della sinistra ha il “merito” di avere la capacità di sapersi vendere politicamente. Non si dica quindi che siccome la Lega ha preso tutti questi voti, la Sicilia è razzista o xenofoba. Niente di più falso. Vogliamo, però, ricordare soprattutto ai più pessimisti che l’ultimo grande leader del partito che venne definito della nazione era Renzi e alle elezioni europee che lo incoronarono premier aveva preso il 41% dei consensi, adesso però di lui non si vede neanche l’ombra. Quindi mai dire mai.

E’ un’anomalia persino Forza Italia che rispetto al dato che riguarda le percentuali di voto nell’isola si attesta al 17%. Numeri che si possono definire straordinari visto che doppiano la percentuale nazionale che il partito di Silvio Berlusconi ha raggiunto. Ma anche qui, se si guarda ai numeri nel dettaglio, i voti di Forza Italia rispetto all’anno scorso si sono praticamente dimezzati. Già in quell’occasione il Movimento 5 Stelle era riuscito a catalizzare e a far presagire la fine di una forza politica che in questo momento potremmo definire un partito del sud e specificatamente siciliano con tutte le caratteristiche del caso. Infatti Forza Italia, se va di molto sotto il 10% in tutto il nord e il centro, si attesta su una percentuale che va oltre il 10 in tutto il sud fino ad arrivare alla percentuale detta sopra in Sicilia. Una forza politica caratterizzata da correnti anche fortemente in competizione tra loro, ma che comunque sono riuscite a raccogliere buona parte dell’area moderata e il residuo del ceto politico di apparato e delle reti clientelari che non è passato alla Lega. Miccichè può esultare, ma senza esagerare, perché il suo pupillo Giuseppe Milazzo si è classificato dopo Berlusconi e davanti a Saverio Romano. La differenza è di un migliaio di voti ma questo basta per far segnare al presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana una parziale vittoria nello lotta tutta interna alla sezione siciliana di Forza Italia.

Vogliamo frenare anche l’entusiasmo del Partito Democratico che a livello nazionale risulta in crescita visto che rispetto alle ultime politiche è passato dal 18% al 22%. Dati alla mano però, rispetto alle politiche, ha preso oltre 100 mila voti in meno. E nello specifico in Sicilia, se nel 2018 si era fermato al 12% circa con 280mila voti, ieri ha raggiunto il 16% ma con 255 mila preferenze, 25 mila in meno. Segno che la massiccia astensione, soprattutto quella registrata dalle nostre parti ha falsato il risultato politico effettivo di questa tornata elettorale. 

L’ultima anomalia, quella più importante, che si ripete ad ogni tornata elettorale e che questa volta supera ogni record, è l’astensionismo. In nessuna provincia siciliana si è raggiunto il 40% di affluenza. La percentuale più alta è a Palermo ed è il 39,49. Gli aventi diritto in Sicilia sono 4.257.281 mentre quelli che hanno votato 1.596.797, con una media regionale che è del 37,51%. Un record storico. La provincia con la più bassa affluenza è Caltanissetta che arriva solo al 34, 30%. E se si va nei piccoli comuni la percentuale di votanti arriva anche al 23%.

Complessivamente più di sei siciliani su 10 non sono andati a votare. Alla luce di questo, si può puntare il dito contro chi ha scelto di non votare e dire che l’ascesa di Salvini è anche merito loro. Si può puntare il dito e dire che sono ignoranti quasi quanto quelli che hanno votato Salvini. Si può puntare il dito e dire che hanno sbagliato perché votare è un dovere. Oppure si può semplicemente dire che più del 60% degli elettori siciliani ha scelto di non legittimare nessuna forza politica candidata a rappresentarli. Che è anche l’unico dato di realtà. La percentuale di siciliani e siciliane che non riconosce e rifiuta le attuali forme di rappresentanza è sempre maggiore, aumenta di elezione in elezione. 

Possiamo anche dire che chi sceglie di non votare lo fa perché non riconosce più il voto come strumento immediatamente utile a migliorare le proprie condizioni di vita o che in generale non ha una diretta incidenza sulla realtà. Le decisioni vengono prese in luoghi che sono sempre più distanti e avulsi dalle singole realtà territoriali. E queste decisioni nei fatti non invertono un presente di precarietà, disoccupazione, desertificazione ed emigrazione forzata. 

Che ci piaccia o no queste percentuali di astensionismo ci devono far comprendere quanto sia attuale la necessità di sperimentare nuove forme di organizzazione sociale che permettano ai territori e a chi li abita di decidere per sé e non per gli interessi di qualcuno o qualcosa che sta altrove. Questo 60% ci dice che c’è un vuoto lasciato dallo Stato e dalle sue istituzioni. Questo vuoto va colmato con la costruzione di istituzioni nuove che siano rappresentazione dell’autogoverno dei territori.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *