La chiusura di DACCA non è responsabilità della lotta “plastic free”

La chiusura di DACCA non è responsabilità della lotta “plastic free”

La storica azienda Dacca di Catania che dal 1971 produce e distribuisce piatti, bicchieri e posate monouso in plastica, chiude i battenti. Le testate giornalistiche annunciano: la lotta “plastic free” miete le prime vittime. Come se le cause della chiusura delle aziende siano da ricercare in chi promuove campagne per l’eliminazione della plastica monouso. E quindi anche nella direttiva UE che comunque impone entro il 2021 il divieto dell’utilizzo di stoviglie monouso.

Ma siamo sicuri di poter affermare con tanta convinzione che la principale causa del fallimento di Dacca sia la lotta plastic free? Analizzando più a fondo la vicenda ci si rende subito conto che determinante per la chiusura è stato, in realtà, il fallimento della Roberto Abate Spa, il principale committente dell’azienda siciliana. «Il calo della domanda e il crollo di gruppi come quello Abate ci hanno messo in difficoltà» sussurrano dall’azienda; per questo la ditta arriva a decidere di portare i libri contabili in tribunale e chiudere la partita. La Roberto Abate Spa era la principale protagonista della grande distribuzione nella Sicilia orientale. E, attenzione, la chiusura di Abate non è dovuta al calo della domanda della plastica monouso ma a ben altre questioni che riguardano semplici e quotidiane logiche di mercato. I problemi con la giustizia e la crescita di altre aziende hanno fatto si che Abate dovesse cedere e vendere tutto. Non è colpa quindi della plastica ma, delle leggi di mercato.

A pagarne le conseguenze sono, come sempre in questi casi, i dipendenti ritrovatisi di fatto senza più un lavoro. Nei giorni precedenti, il consiglio comunale di Aci Catena ha sottoscritto una mozione per portare al centro del dibattito pubblico e politico la crisi di Dacca e, soprattutto, il licenziamento forzato dei suoi 130 lavoratori. L’intento è quello di portare la questione ai tavoli del governo nazionale che deve prendersi carico dei dipendenti ora disoccupati.

La vicenda ci offre la possibilità di condurre una riflessione sulla direttiva europea; se è vero che individuare nel “plastic free” la causa del fallimento di Dacca è pretenzioso e non veritiero, è altrettanto vero che la norma europea, così com’è, pone una questione da non sottovalutare che tutte le aziende produttrici di plastica monouso da qui al 2021 dovranno porsi. E aspettare il 2021 potrebbe causare solo ulteriori problemi.

L’Europa dice di voler tutelare l’ambiente e impone il cambiamento. Le aziende o si accodano, o chiudono. Accodarsi significa affrontare i costi della riconversione industriale verso la produzione di materiale alternativo alla plastica monouso; significa avere le capacità economiche di governare e gestire i processi di cambiamento e riconversione o anche semplicemente avere la volontà di farlo.   L’Unione Europea con il “plastic free” si è assunta la responsabilità del cambiamento e della tutela dell’ambiente, ma affinché responsabilità e cambiamento non restino vuote parole dovrebbe sin da subito predisporre tutte le misure finanziarie e amministrative che permettano di rendere operativi ii processi di transizione dal mono uso di plastica alle alternative eco-sostenibili. Senza questo intervento a pagarne le conseguenze saranno come sempre i dipendenti che resteranno senza un lavoro.

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