Catania e Palermo: nuovi contagi in fabbriche e call center

Catania e Palermo: nuovi contagi in fabbriche e call center

Continuano ad aumentare i casi di lavoratori di fabbriche e call center positivi al Covid-19 in Sicilia. 

I lavoratori, preoccupati e stanchi di dover continuare a recarsi nei luoghi di lavoro nonostante l’emergenza, e nonostante i già accertati casi al loro interno, avevano riposto speranza nell’annuncio del premier Conte di varare un nuovo decreto per la chiusura immediata dei settori non essenziali. Ma sono bastate ventiquattro ore per far sprofondare i lavoratori nuovamente nell’incertezza. Il nuovo decreto, emanato il 22 marzo, ha preso il nome Chiudi Italia. Non chiudono però circa 800.000 imprese, lasciando 7 milioni di lavoratori all’opera. Sono infatti 87 le voci dell’elenco dei settori che rimangono aperti. Figurano anche numerose incongruenze: se la produzione di bevande (evidentemente considerate indispensabili) rimane attiva, chiude invece la produzione di bottiglie di vetro. 

Aldilà delle contraddizioni ciò che più ci riguarda è che non si ferma l’attività di numerose fabbriche, e persino i call center restano aperti.  Lo Stato italiano ha dichiarato, dunque, che la salute dei cittadini non è un priorità.  

I contagi da Covid-19 nel frattempo continuano ad aumentare. E nuovi focolai sorgono proprio all’interno dei posti di lavoro.  

Catania: secondo caso nella fabbrica StMicroeletronics  

Dopo il primo caso accertato nelle scorse settimane, questa mattina è arrivata la conferma del secondo contagio all’interno della fabbrica catanese StMicroeletronics. A seguito del primo erano stati messi in quarantena gli altri dipendenti che sembravano essere entrati in contatto con il contagiato. Oggi, dopo la conferma del nuovo contagio le modalità d’azione sono state le stesse. Mentre il dipendente si trova ricoverato in ospedale, quattro colleghi sono stati messi in quarantena per tentare di limitare ulteriormente la diffusione. Sta di fatto che, come già dimostrava il primo caso, questo modus operandi non è in grado di limitare il propagarsi del virus. L’unica soluzione realmente efficace è l’arresto delle attività all’interno della fabbrica, cosa che l’azienda – la quale ha semplicemente disposto la santificazione dei locali – non sembra prendere in considerazione. 

Palermo: secondo caso nel call center Comdata 

Anche nel palermitano sono stati accertati nuovi casi di contagio tra lavoratori. In particolare, è di oggi la notizia di un’altra dipendente del call center Comdata risultata positiva. A quanto pare la donna avvertiva i sintomi da parecchi giorni, addirittura da prima della notizia del primo caso all’interno degli uffici, ma, non avvertendo insufficienza respiratoria, nonostante le numerose chiamate all’Asp, il tampone non le è stato somministrato fino a ieri. La donna aveva comunque provveduto a mettersi in malattia dopo i primi sintomi. I colleghi preoccupati continuano ad affermare che, per quanto siano state adottate alcune misure di sicurezza, senza l’attivazione dello smart working sia impossibile arrestare il propagarsi del virus nel call center, come in ogni altro luogo di lavoro. Chi continua a lavorare rischia ogni giorno di entrare in contatto con colleghi che potrebbero aver contratto il virus, mettendo a rischio non solo se stessi ma anche le rispettive famiglie. Passano diverse ore nella stessa stanza, utilizzano luoghi comuni come bagni o mense.  

Ci chiediamo come sia possibile che per mansioni come quelle effettuate nei call center non sia stata immediatamente attivata una manovra di tutela dei lavoratori, come lo Smart working. Ci chiediamo come sia possibile pensare di mantenere aperte fabbriche, anche a seguito degli appurati contagi. Poi ci ricordiamo che viviamo nella società dove viene prima il profitto e dove per questioni che riguardano la salute dei cittadini ci si confronta con Confindustria. E allora tutto torna.

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