Paliké, Ducezio e l’unione dei Siculi

Paliké, Ducezio e l’unione dei Siculi

In località Rocchicella, nella parte sud della Piana di Catania, nel territorio comunale di Mineo, troviamo il sito archeologico dell’antica Paliké. La città, fondata da Ducezio nel 453 a.C. sull’altura che domina la pianura, era sede del santuario più importante della popolazione sicula. Il santuario ove venivano venerati i fratelli Palici, coppia di divinità ctonie sicule della mitologia romana e in minore estensione nella mitologia greca. Tale culto, fra i più importanti per le popolazioni locali, e dunque il suo relativo santuario, aveva come fulcro un lago naturale di natura sulfurea composto da due specchi d’acqua quasi identici fra loro; dalla sua superficie sgorgavano costantemente bolle di anidride carbonica, idrogeno e metano mentre si innalzavano due o tre getti d’acqua trascinata in alto dalla pressione dei gas, la colorazione dell’acqua era giallo-verdastra e un forte e nauseante odore di gas petroliferi esalava dall’acqua pervadendo l’ambiente circostante. Si trattava di uno spettacolo talmente spaventoso e misterioso che i siculi collocarono proprio in quel luogo la dimora delle due divinità sino a una totale identificazione dei due specchi d’acqua con le divinità stesse. Secondo il mito, raccontato nelle Etnee di Eschilo di cui rimangono solo pochi frammenti, le due divinità erano figlie di Zeus e della ninfa Talia la quale per sfuggire all’ira di Era si fece nascondere sottoterra dallo stesso Zeus ove partorì. Da qui infatti la denominazione di Palici ovvero nati due volte, dalla terra e dal ventre di Talia. Secondo un’altra leggenda, invece, i Palici erano figli del dio siculo Adranos, assimilato e in parte sovrapposto al dio Efesto che aveva le sue fucine nelle viscere del vulcano Etna. Il santuario era luogo di giuramenti solenni (morte o cecità erano le pene che toccavano agli spergiuri), ma aveva anche carattere d’oracolo e infine vi si esercitava l’asilo. Al suo interno infatti potevano trovare rifugio gli schiavi maltrattati da padroni crudeli e questi non potevano portar via con la forza i loro servi, se non dopo aver garantito con un giuramento alle divinità di trattarli umanamente e con dolcezza. Per questo motivo il tempio ebbe importanza politica divenendo centro del movimento nazionale all’epoca del prima citato re Ducezio, nella rivolta degli schiavi del 204 a.C. e nella seconda guerra servile.
Ma facciamo un passo indietro. Quando, nel VII secolo a.C., i Greci giunsero in Sicilia, se da una parte fondarono nuove e ricche città, dall’altra, nella maggior parte dei casi, si stanziarono in città già esistenti di fondazione sicula nella parte orientale e di fondazione sicana e elima nella parte occidentale. Una pacifica convivenza caratterizza i rapporti fra autoctoni e stranieri per circa tre secoli, fin quando i Siculi, presa coscienza del pericolo di una totale ellenizzazione della Sicilia, non tentano di rientrare in possesso della loro indipendenza e con essa di quei territori sottratti dall’espansione greca e soprattutto siracusana. È a questo punto della storia che emerge la valorosa figura di Ducezio, è a lui che viene attribuita la probabile fondazione del santuario quale luogo di riferimento per le popolazioni autoctone dell’isola. Originario della Sicilia sud orientale, come ci narra la storiografia era un uomo di grande carisma che riuscì a conquistare l’animo dei Siculi oppressi dalla dominazione greca e desiderosi di superare l’ imposta frammentazione del territorio in città-stato. Alla testa del suo esercito Ducezio dominò la scena militare per più di dieci anni, battendosi per cercare di riaffermare la supremazia della popolazione indigena su quella dei conquistatori, battendosi per la realizzazione di una federazione proto statuale delle poleis sicule e liberando man mano le diverse comunità. Nel 453 a.C. fondò Palikè facendone la capitale del suo Stato, ma siamo nel 450 a.C. quando venne sconfitto a Noai e successivamente a Motyon (vicino San Cataldo). Dopo queste sconfitte fu esiliato a Corinto. Federica Cordano, professore ordinario di Storia Greca nell’Università Statale di Milano, non esita a definire il periodo di Ducezio come “il momento della migliore autocoscienza dei Siculi” e egli stesso come “il guerriero per eccellenza”. Il guerriero talmente innamorato della sua isola da perseguire nel corso della sua esistenza l’unico fine di riunire le popolazioni locali affinché riuscissero a difendersi contro tutti e tutto. Ricordiamo che già nel 480 a.C., otto anni prima che Ducezio nascesse, la Sicilia dell’epoca era mira delle spinte espansionistiche di Cartagine, che desiderava a tutti i costi espandere la sua presenza dalla costa occidentale a quella orientale. Ecco che il tempio venne fondato dal sovrano come luogo per cementificare l’unione religiosa di tutti i Siculi e la sua importanza religiosa, ma soprattutto politica, lo resero il principale obbiettivo bellico dei nemici.
Il lago, chiamato Naftia a partire dall’età medievale, non è oggi più visibile perché scomparso dopo le bonifiche agricole e le trasformazioni industriali degli ultimi sessanta anni. Del santuario, descritto come struttura poderosa e magnificente, sono invece visibili i resti di due stoai, in una delle quali sono state ritrovate testimonianze del rituale delle offerte (coppe a vernice nera e ossa di animali) che nell’area sacra vi si praticavano. L’area archeologica è aperta al pubblico dal gennaio 2006.

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