Il monastero di San Nicolò l’Arena: un gioiello siciliano di 461 anni

Il monastero di San Nicolò l’Arena: un gioiello siciliano di 461 anni

Il monastero di San Nicolò l’Arena a Catania è un’opera meravigliosa del tardo barocco siciliano, indicato dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’Umanità.
E’ il secondo complesso ecclesiastico di ordine benedettino più grande d’Europa, dopo quello di Mafra in Portogallo.
Dal 1977 ad oggi è sede del DiSUM (Dipartimento di Scienze Umanistiche) dell’Università degli Studi di Catania e custodisce al suo interno una domus romana, chiostri e uno splendido giardino pensile.
Il monastero nasce il 28 novembre del 1558, compiendo così, proprio in queste settimane, 461 anni.
Il plesso viene fondato dai monaci cassinesi e, nel XVII secolo, a seguito di diverse calamità naturali, la colata lavica nel 1669 prima e il terremoto nel 1693 dopo, fu distrutto e ricostruito, lasciando in eredità un emblematico esempio di integrazione architettonica tra le epoche.
Il primo impianto, a forma quadrata, presenta un chiostro interno chiamato “dei Marmi” (ridefinito in seguito Chiostro di Ponente), per la presenza del pregiato marmo di Carrara nel colonnato seicentesco e nella fontana al centro e dei decori rinascimentali.
L’8 marzo del 1669, dopo ripetute scosse sismiche e assordanti boati provenienti dalla Montagna – l’Etna -, si aprono due profonde fenditure da cui esce lava. L’eruzione del vulcano è talmente forte che la colata raggiunge la cinta muraria della città intorno la fine di aprile, giungendo fino alle mura del monastero cinquecentesco, mentre la città era stata difesa utilizzando muri per deviare il fiume di fuoco.
Il monastero riesce a salvarsi, ma la chiesa a esso annessa viene distrutta con l’arrivo della colata.
Nel 1687, ben 18 anni dopo l’eruzione, incomincia la ricostruzione della chiesa annessa, plausibilmente su disegno dell’architetto romano Contini. Il Monastero del cinquecento era costituito da un piano interrato, destinato a cantina e deposito delle derrate alimentari e a cucina; e due piani destinati ad accogliere le celle dei monaci, il capitolo, il refettorio, la biblioteca e il parlatorio, oltre che il chiostro dei Marmi.

Nella notte tra 10 e 11 gennaio del 1693 Catania trema. Il terremoto del 1693 viene considerato uno dei cataclismi naturali più devastanti per la Sicilia orientale, con scosse che, secondo gli studiosi, raggiunsero magnitudo 7,7 della scala Richter. L’intera Val di Noto viene rasa al suolo e molti dei catanesi rimasero sepolti sotto le macerie della città.
Del Monastero cinquecentesco resta integro il piano interrato e parte del primo piano, mentre del chiostro restano erette 14 colonne.
A partire dal 1702 – sono trascorsi ben 9 anni dall’evento catastrofico – inizia la ricostruzione e il Monastero viene ripopolato da monaci provenienti da altri cenobi. Ingrandito rispetto alle pianta primigenia viene sfruttato il banco lavico per realizzare i due giardini pensili, l’Orto Botanico – la villa delle meraviglie – e il giardino dei Novizi.
Al cantiere benedettino partecipano i grandi architetti siciliani: Ittar, Battaglia, Battaglia Santangelo, Palazzotto. Le maestranze vengono chiamate da tutte le provincie: Palermo, Messina, Siracusa. Tra i più importanti architetti si annovera Giovan Battista Vaccarini, a cui si deve la realizzazione delle Cucine e del Refettorio grande, oltre che il progetto della Biblioteca (oggi Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero). L’architetto palermitano aveva studiato a Roma venendo dunque a contatto con grandi architetti, quali Fontana, Michetti, De Sanctis.
Lavora per il Monastero dei benedettini anche l’architetto Giancarlo De Carlo che viene inviato dall’Università di Catania al Monastero dei benedettini nel 1980, al fine di suggerire quali procedure attuare per il recupero e per il suo consequenziale adattamento a sede universitaria.
Attorno al Monastero dei Benedettini di Catania sono nate alcune leggende. La più celebre è quella secondo cui esiste una galleria sotterranea che unisce il convento con quello di San Benedetto in via Crociferi; un’altra invece è quella secondo cui il corpo di Donato del Piano sia seppellito sotto l’Organo della Chiesa di San Nicola.

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