Corpi e territori non sono luoghi di conquista. Un intervento di Antudo Lentini

Corpi e territori non sono luoghi di conquista. Un intervento di Antudo Lentini
Ripubblichiamo l’intervento del Comitato Antudo Lentini all’interno del tavolo “Corpi e territori non sono luoghi di conquista” che si è svolto al MedusaFest, festival femminista e transfemminista tenutosi a Catania nel weekend del 16,17 e 18 settembre.  Il momento di discussione metteva al centro una riflessione che vede il patriarcato come un sistema complesso che integra al suo interno diverse linee di dominio come quelli estrattiva, coloniale, di devastazione ambientale e violenza sui corpi delle donne, il cui obiettivo non è il dominio solo delle donne, ma della società tutta. In questo dibattito ci si è domandate collettivamente quali sono oggi le forme di autodifesa e contrattacco che si stanno definendo nei nostri territori, soprattutto in quelle che vengono definite “zone di sacrificio”. Di seguito il testo completo dell’intervento.

 

Sono Metis, faccio parte del Comitato Antudo Lentini e proverò a definire la situazione dei comitati territoriali che in Sicilia lottano per la difesa dei propri territori a partire dal comitato di cui faccio parte.

Per noi è molto importante che si faccia questa riflessione e che la tavola rotonda di oggi abbia questo titolo – “Corpi e territori” – perché è proprio dalle categorie di corpo e di territorio che possiamo esaminare il tipo di attacco che stiamo subendo, gli attacchi delle politiche estrattiviste.

Nel sistema capitalista, patriarcale, sessista, coloniale, specista non tutti i corpi, evidentemente, hanno lo stesso valore e così non tutti i territori; si parla, appunto, di zone sacrificali, non a caso, e penso che per certi versi anche Lentini, la piccola città da cui provengo al confine con Catania e in cui opera il mio comitato, possa essere intesa per certi versi come una zona sacrificale, un territorio che per varie ragioni è stato sacrificato al profitto, oggetto di quelle politiche estrattiviste che, come sappiamo, estraggono profitto dai territori lasciando nocività, impoverimento, danni ambientali a tutte le popolazioni, umane e non, che vi risiedono.

Il mio comitato si è costituito anni fa e nel 2017 ha dato vita a Lentini, insieme ad altre realtà, al Coordinamento per il Territorio contro le discariche di contrada Armicci e contrada Bonvicino. Quel coordinamento nasceva per opporsi alla realizzazione di una mega-discarica in un pezzo del nostro territorio, in una contrada tra campi coltivati in parte ad agricoltura biologica, una zona archeologica, un’oasi naturalistica, case abitate, quindi in una zona sicuramente ad alta criticità, ma soprattutto si trattava di un impianto sovradimensionato per le esigenze degli abitanti di quel territorio e non voluto dagli abitanti, quindi calato dall’alto, e a cui gli abitanti si opposero in varie maniere. In particolare il Coordinamento, tra le altre forme di lotta, organizzò una serie di presidi per diversi mesi con cui fu bloccata una strada per impedire l’inizio dei primi lavori di realizzazione della discarica. Ludovica e le altre hanno partecipato, tra l’altro a questi presidi.

Il mio comitato, poi, sempre nel 2017, ma soprattutto nel 2018, ha partecipato alla fondazione di quella che si chiama Rete dei Comitati Territoriali Siciliani che cerca di riunire i comitati attivi in Sicilia contro la realizzazione di impianti e progetti non voluti nei propri territori; quindi, comitati che con storie, approcci e modi di costruire i discorsi e le lotte diversi tra loro, cercano di difendere i propri territori dalla realizzazione di impianti non voluti: discariche, inceneritori, specialmente mega-impianti di trattamento dei rifiuti, ma anche, ad esempio, il movimento No-Ponte.

Un’altra delle battaglie a cui la Rete dei Comitati sta cercando di dedicarsi è quella sulla questione del fotovoltaico, mega-impianti di fotovoltaico a terra che stanno già investendo la nostra Isola, perché non esiste un regolamento specifico sul loro impianto, e che dovrebbero arrivare a ricoprire un terzo dell’Isola con tutta una serie di complicazioni di cui adesso non possiamo chiaramente parlare.

Nella lotta dei comitati che fanno parte della Rete non c’è, ad oggi, una riflessione di taglio femminista sulle lotte territoriali, ma è vero che è nettamente prevalente una presenza femminile. Ed è vero anche che a Lentini da quasi un anno una parte delle donne del comitato ha rianimato e dato vita a un Coordinamento cittadino di donne che, proprio di recente, ha scelto di sposare la lotta contro l’ennesimo progetto di mega-discarica nel nostro territorio, un’altra mega-discarica sovradimensionata che non è pensata per le esigenze della comunità, ma per il profitto di chi la vorrebbe costruire.

Nella sua lotta, il comitato di cui faccio parte ha cercato di muoversi agitando due questioni in particolare: la questione di chi decide nei territori, quindi della decisionalità, portando avanti una critica al modello di governo dei territori che di fatto nega la partecipazione degli abitanti alle scelte che riguardano le loro vite, che riguardano i territori, e la questione del modello di sviluppo criticando il modo di consumo e questo modello di sviluppo estrattivista che abbiamo già detto. In sintesi abbiamo individuato tre tipi di minacce: una minaccia di tipo sanitario perché il nostro territorio, come tanti altri in realtà, ha una situazione sanitaria complessa, con un alto numero di leucemie infantili, di malattie probabilmente legate a un inquinamento ambientale che è dovuto anche alla presenza di una mega-discarica che sorge tra Catania e Lentini, la discarica dei Leonardi, che per lo più si trova nel nostro territorio; una minaccia economica, perché costruire una mega-filiera dei rifiuti significa ammazzare un tipo di economia legata all’agricoltura alla quale il nostro territorio è storicamente vocato; e poi una minaccia politica, come ho già detto, anche perché ci siamo sempre più resi conto di come, in effetti, le istituzioni territoriali che sono più vicine agli abitanti o che, teoricamente, dovrebbero essere più vicine agli abitanti e anche a loro diretto controllo, cioè le amministrazioni comunali, sono progressivamente sempre più svuotate di poteri decisionali, ad un certo punto anche di poter decidere in materia urbanistica!

Nella lotta del comitato di Lentini, ma anche della Rete in generale, c’è una critica al modello di gestione dei territori esistenti e vorrei sottolineare che non c’è tanto la richiesta di una maggiore partecipazione alle decisioni che riguardano i territori, ma c’è proprio il tentativo di costruire uno spazio nuovo, uno spazio di decisionalità altro. In particolare, in questa direzione cerca di muoversi il comitato di cui faccio parte che prova ad immaginarsi come un’istituzione territoriale indipendente, nuova – questa, almeno, è la nostra intenzione – e che tenti di rispondere alle esigenze concrete degli abitanti e del territorio.

Ludovica, nella sua introduzione ci chiedeva e si chiedeva che risposte stiamo mettendo in campo, che resistenze stiamo provando ad immaginare per rispondere a questi attacchi. Dunque, i comitati nei loro discorsi e nelle loro azioni mettono in campo una contro-rielaborazione del presente. Una delle accuse che spesso ci sentiamo dire è che i comitati sanno dire solo di no; che i comitati dicono no a tutto, no alla discarica, no all’inceneritore, no al Ponte, senza poi mettere in luce, in realtà, tutto il portato di studi sulle alternative che pensiamo per i nostri territori.  L’accusa che viene in genere mossa è questa: i comitati sanno dire solo di no. Ma la cosa interessante, secondo me, è che i comitati sanno dire di no e che in questo no è contenuta una visione politica, una visione del territorio che noi vogliamo ed è una visione che è in netto contrasto con il modello di sviluppo dominante e con quelle politiche dei governi regionali e centrali che, di fatto, trattano i territori come ambito dell’impotenza in cui gli abitanti non sono altro che dei meri fattori di disturbo.

In conclusione, per rispondere alle questioni sollevate da Ludovica, vorrei dire che in quest’epoca definita un’epoca delle tante crisi – crisi economica, climatica, ambientale, sanitaria – riteniamo che ricentrare la decisionalità a partire dai territori, a partire dalle concrete esigenze delle terre e degli abitanti, sia una pratica fondamentale di diserzione, di sottrazione agli imperativi dell’attuale modello di sviluppo capitalistico. Ed è in questo quadro che la sfida dei comitati diventa, secondo noi, chiara: cioè quella di andare oltre una presenza temporanea che si risolve con la lotta da cui si nasce. La sfida è proprio riuscire a strutturarsi in quelli che potremmo chiamare dei nuovi istituti di democrazia comunitaria. Quindi a partire da un fatto eccezionale, che può essere l’opposizione ad un determinato progetto o impianto non voluto nel proprio territorio, occorre riuscire a strutturare e a radicare non soltanto pratiche di difesa, ma anche pratiche di autogestione e di cura del proprio territorio. Ed è in questa direzione che anche il nostro comitato sta tentando di muoversi.

 

 

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