Quale alternativa al governo dell’emergenza permanente?

Quale alternativa al governo dell’emergenza permanente?
C’era da aspettarselo che avrebbero atteso fino al momento in cui potevano mettere in salvo il vitalizio. Del resto, la necessità del governo Draghi, a conti fatti, è stata proprio questa: tirare a campare. Ciò che andava fatto è stato fatto e non c’è destra o sinistra, populisti o moderati che tengano. E adesso non c’è ragione di avere paura della Meloni, tanto la storia recente ci dice che alle nostre latitudini, i governi nazionali, gira e rigira, semplicemente si adeguano e si piegano a chi in Europa e in occidente sta più in alto e finiscono semplicemente ad organizzare i territori in funzione di quanto deciso in posti e da persone fin troppo lontane da noi. Con interessi e bisogni completamente opposti ai nostri.

A proposito della funzione del governo Draghi, vorremmo spiegarci meglio. È più necessario che mai dare una lettura a posteriori, di certo sintetica, ma di parte rispetto a quanto accaduto negli ultimi 4 anni e mezzo riguardo alle dinamiche di palazzo romane. E non per un mero esercizio di retorica ma, appunto, perché analizzare quanto accaduto può essere un utile strumento per il prossimo futuro.

 

L’arte di “salvarsi”

Nel 2018, nonostante le modifiche alle riforme elettorali studiate ad arte da centro sinistra e centro destra in chiave anti-grillina, il Movimento5Stelle, alle politiche, ottenne il maggior numero di seggi in parlamento. Tutte le altre forze politiche a quel punto potevano intraprendere la strada della coerenza (ma che scherziamo!) e dire che non c’erano le condizioni per fare un governo, così da tornare a votare. Ma per non andare a casa tutti una soluzione si doveva trovare. E inizialmente ne sono state trovate ben due. Prima il governo dei 5Stelle con la Lega e poi quello con il PD.

A quel punto si poteva tornare ad ammucchiarsi sotto il coordinamento  di un emissario dell’Unione Europea, che non dovesse neanche mediare con i partiti. Mano libera completa. Un quadro che poteva andare bene fino a quando andare alle elezioni non avrebbe scontentato i parlamentari.

Un piano perfetto per spegnere il fuoco dell’anomalia (si fa per dire) grillina e trovare nuovi equilibri al bipolarismo classico, magari con qualche spruzzata di presidenzialismo in più. Eh si, perché con la scusa dell’emergenza pandemica si è sperimentata la sospensione delle funzioni del parlamento, con un meccanismo ribaltato in cui le camere invece che legiferare si sono ritrovate a ratificare i decreti dei governi; sperimentazione in atto tutt’oggi con la gestione dell’emergenza guerra. Per carità, di certo non siamo affezionati a quelle che palesemente erano e continuano ad essere (salvo rare eccezioni) le camere in cui trovano rappresentanza gli interessi dei soliti noti, corporation, lobbies, grandi imprese e multinazionali. Ma questo resta un dato di realtà che va raccolto e tenuto in considerazione sempre. Bisogna andare spediti e veloci. Senza chiedere conto a nessuno. Soprattutto quando c’è da alimentare una guerra che deve durare e gestire situazioni come quella che stiamo vivendo (inflazione, carovita ecc), mantenendo la pace sociale.

 

Niente da spartire

Ciò che andava fatto è stato fatto. Non c’è destra o sinistra che tengano.  E adesso non c’è ragione di avere paura della Meloni. Tanto la storia recente ci dice che alle nostre latitudini, i governi nazionali, gira e rigira, semplicemente si adeguano e si piegano a chi in Europa e in occidente sta più in alto e finiscono semplicemente ad organizzare i territori in funzione di quanto deciso in posti e da persone fin troppo lontane da noi. Con interessi e bisogni completamente opposti ai nostri.

Ancora oggi alcuni festeggiano, altri pensano che questo metterà ulteriormente in crisi il paese. Noi non ci schieriamo né dall’una né dall’altra parte.

È vero, non abbiamo niente da spartire con questo governo, in generale non abbiamo niente da spartire con i governi centrali che dall’alto impongono sfruttamento e politiche lacrime e sangue, senza badare ai bisogni dei territori, perché hanno da difendere le logiche del profitto. Ma siamo convinti che ci sia ben poco da festeggiare. Perché nonostante sia stato forse il governo meno amato degli ultimi tempi, eravamo tutti e tutte lì ad aspettare che i partiti gli dessero la spallata per tornare ad elezioni. Consapevoli che morto Draghi, morto un banchiere, ne faranno un altro.

E noi –  i comitati e le organizzazioni politiche di base, quelli di difesa del territorio, i comitati di quartiere, le associazioni, quelli che pensavano che questo governo stesse peggiorando ulteriormente la crisi sociale in atto, tutti quelli che subiscono maggiormente le conseguenze del carovita – non siamo ancora in grado di tracciare e praticare un’alternativa credibile, possibile e condivisa. Un’alternativa istituzionale, non solo al sistema dei partiti italiani, ma allo Stato Italiano, alle forme che assume e al modello di sviluppo che impone ai nostri territori.

 

È tempo di porsi delle domande

No, non c’è da festeggiare. Al contrario crediamo sia il tempo in cui porsi alcune domande:

• In che modo stiamo dentro le contraddizioni che si svilupperanno da qui al 25 settembre e oltre, considerando che potremmo approdare all’autunno più caldo degli ultimi anni?

• Bastano i calderoni elettorali (neanche troppo grandi) che se pure hanno l’obiettivo di mantenere in parlamento una presenza quanto più incisiva sulle questioni sociali ( reddito di cittadinanza, salario minimo, diritto alla casa, difesa dei territori ecc), non riescono a svincolarsi dal riproporre formule già viste e già sconfitte?

• Non è il caso, forse, di ragionare su qualcosa di totalmente nuovo, mettendo tutto in discussione: teorie, linguaggi, pratiche, forme della rappresentanza, della militanza e dell’attivismo politico, presenza sui territori, strumenti di aggregazione sociale?

Certo si partirebbe da zero ( o quasi ), sarebbe un salto nel buio, ma questa è la sfida che dobbiamo raccogliere se veramente vogliamo innescare processi di emancipazione dalla società capitalistica che portino le comunità a prendere coscienza dei propri bisogni e decidere per sé fuori dalle logiche del mercato globalizzato. Per contrapporsi alle imposizioni del governo dell’emergenza permanente e decidere cosa fare dei propri territori, del sistema sanitario, della gestione dei rifiuti, delle infrastrutture, del funzionamento di scuola e università e del sistema produttivo, senza la necessità di dover riprodurre in piccolo forme statuali, ma sperimentando l’indipendenza e l’autogoverno dei territori.

 

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