A San Martinu ogni mustu diventa vinu

A San Martinu ogni mustu diventa vinu

Nel IV secolo, Martino, originario della Pannonia (odierna Ungheria), era vescovo di Tours ed esercitava il suo ministero della Gallia del tardo Impero Romano. La leggenda narra che in una notte d’inverno, mentre ancora svolgeva il ruolo di soldato per l’Impero Romano, alle porte della città di Amiens, incontrò un povero viandante che soffriva il freddo, e, non avendo denaro da dargli, si impietosì, sguainò la spada e tagliò a metà il proprio mantello affinché il mendicante avesse qualcosa con cui coprirsi. Il freddo sembrò affievolirsi e il sole comparve in cielo: ecco la prima estate di San Marino.

Leggende a parte, la festa si collega a una particolare situazione climatica e il nome Estate di San Martino, condiviso anche con altre culture come in Francia, Spagna e nei paesi anglosassoni, deriverebbe proprio dal fatto che è tipico, specie nella prima metà di Novembre, assistere a un periodo relativamente quieto e mite delle condizioni atmosferiche, magari dopo i primi episodi “freddi” di Ottobre.

La festa di San Martino si celebra ogni 11 Novembre ed è una ricorrenza che in Sicilia è fortemente legata alla cultura contadina e a usanze eno-gastronomiche tramandate di generazione in generazione.

I detti “A San Martino ogni mustu diventa vinu” e “A San Martinu si vivi lu vinu” sono legati alla tradizione secondo la quale proprio intorno a questa festività il mosto si è finalmente trasformato in vino. Si passa alla cosiddetta “svinatura”, si aprono le botti e a tavola viene servito il vino novello. “A San Martino s’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu” è un altro detto tipico di alcune località siciliane. Si attendono i primi giorni di novembre per sopprimere il maiale e farne prosciutti, salami, zamponi e salsicce da spruzzare di vino novello durante la cottura. In questo periodo, in lungo e in largo, l’Isola è pervasa dal fumo e dall’odore delle caldarroste arrostite per le strade.

A Palermo il San Martino dei poveri veniva festeggiato con il rito del biscotto di San Martino, inzuppato nel moscato: “Li viscotta di San Martinu” vengono descritti nel XIX secolo dal demologo siciliano Giuseppe Pitrè come dei biscotti dolci “che hanno la forma di un piccolo pane, la cui parte appariscente è alla roccocò” (Pitrè, G., 1881, p.411). Tre sono le tipologie diffuse: “uno a forma di seno, simile a quello che si confeziona a Licata, un altro più piccolo, come una pagnottella, detto «Sammartinello»; e un terzo, ripieno di pasta di mandorla, conserva e pan di Spagna imbevuto di liquore, ricoperto di una velatura di zucchero, confettini argentati, cioccolatini, e riccamente decorato con fiori e ciuffetti di verde” (Uccello, A., 1916, p.96). “I biscotti di San Martino, che si suole immergere nel vino e consumare a conclusione di un pasto in cui la portata principale è costituita dalla carne di tacchino o maiale, sino al secolo scorso erano sorteggiati (“riffati”) dai venditori ambulanti nei mercati e nelle piazze di alcuni comuni siciliani e donati dai padroni a coloro che prestavano servizio presso le loro abitazioni ed erano soliti recarvisi per fare il Bon Sammartinu. (Testo estratto da “Culti del grano nelle terre del Gattopardo” di Emanuela Caravello).

Oltre ai biscotti, per il giorno di San Martino, è tradizione mangiare “le muffulette”, pani soffici e tondeggianti del diametro di circa 20 cm e peso di 200 gr, composti da farina arricchita con semi di finocchio e appena sfornati conditi con olio d’oliva, formaggio, sale e pepe.

Nella Sicilia orientale nel giorno di San Martino è usanza mangiare “i crispeddi”, frittelle dalla forma rotonda o allungata sia nella versione dolce con uva passa, noci o gocce di cioccolato, che salata, con alici e finocchietto selvatico.

Particolarmente interessante è la tradizione che a Palazzo Adriano vede protagonisti gli sposi: “un uso di straordinario interesse è quello praticato a Palazzo Adriano (Pa) che consiste nell’inviare, in occasione della partecipata festività di San Martino, abbondanti doni agli sposi convolati a nozze durante l’anno appena trascorso. Genitori, amici e parenti affidano ai bambini l’incarico di far giungere a destinazione gli omaggi, prevalentemente oggetti d’uso domestico e provviste alimentari recati all’interno dei cannistra, grandi ceste, addobbate con fiori, nastri colorati e tovaglie ricamate, nelle quali sono posti frutta fresca e secca, dolci, pasta, biscotti di San Martino e soprattutto la pitta: un pane azzimo e poco lievitato di forma rotonda e piano sulla cui superficie sono impressi i simboli dell’identità albanese, dell’amore e della fede coniugale, della pace, della vita e della fecondità (cfr. AA.VV., 2001; Buttitta, A., Cusumano, A., 1991; Pitrè, G., 1881; Uccello, A., 1976).”

Diverse sono le sagre e le fiere che colorano e animano l’intera isola durante la festività dell’11 Novembre. Tra gli esempi, la festa degli “Odori e sapori della valle del Ghiodaro – San Martino a Mongiuffi Melia” a Messina, che prevede l’esposizione e la degustazione di prodotti tipici della valle del Ghiodaro, ma anche produzioni di artigianato locale; la Sagra della frittella e sgambata di San Martino a Ragusa, in occasione della quale avviene la tradizionale gara podistica “sgambata di San Martino”; la sagra “San Martino e il Vulcano a Milo (Catania)” adagiata sull’Etna in mezzo alle ginestre; la “Festa di San Martino ad Aci Bonaccorsi (Catania)”; il “Palio di San Martino a Castell’Umberto (Messina)”, nella quale, parallelamente alla manifestazione sportiva, viene allestita una sagra dei prodotti tipici dell’area dei Nebrodi con l’interesse per la valorizzazione del territorio; le sagre di Milazzo, Siracusa, Petralia sottana, Aci Bonaccorsi e tante altre ancora.

 

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