Il fenomeno sociale del banditismo in Sicilia

Il fenomeno sociale del banditismo in Sicilia

Il banditismo in Sicilia

Il banditismo è un fenomeno sociale che ha coinvolto la Sicilia a partire dall’Unità d’Italia, nel 1861. In questo periodo il proletariato rurale cominciò a opporsi al regime feudale che perdurò ufficialmente fino al 1812; ma che, di fatto, venne abolito legalmente non prima del 1838 o addirittura nel 1862. Vaste zone erano e continuarono a essere sotto il controllo dei baroni latifondisti e del loro seguito di intendenti. Il padrone, il suo campiere armato e il gabellotto comandavano. I contadini siciliani – oppressi dalla miseria, ignorati e sfruttati – dovevano obbedire. La Sicilia si trovava in una situazione in cui a un latente fermento rivoluzionario contadino e alla lotta di classe, corrispondeva l’assenza di un ordine pubblico garantito dalla legge o da un qualsiasi tipo di amministrazione efficiente, sopratutto nelle aree più interne dell’Isola.

Alla nuova borghesia rurale e ai nuovi sistemi commerciali del capitalismo agricolo si opposero i briganti, che sembravano incarnare perfettamente le aspirazioni delle classi contadine contro lo sfruttamento padronale. Questi ultimi insorgevano con violenza, occupando le terre comuni, saccheggiando i municipi, gli uffici delle imposte, gli archivi comunali, le case e i ritrovi della nobiltà.

Il XIX secolo è stato un continuo succedersi di sommosse popolari e contadine. Nel 1820, nel 1837, nel 1848, nel 1860 e nel 1866. In questo periodo storico nasceva, inoltre, il movimento dei Fasci dei lavoratori siciliani, il primo e più esteso movimento che può essere definito organizzato. I briganti e i fasci dei lavoratori, entrambi, non riconoscevano l’utilità dello Stato, che percepivano lontano e straniero.

A posteriori, è possibile affermare che l’abbandono del Meridione da parte del Governo italiano, la mancata presenza dello Stato – se non in termini repressivi – tra le fasce più basse della popolazione, ha contribuito notevolmente alla formazione di bande spontanee e gruppi più o meno organizzati che contrapposero la nostra legge alla loro (quella nazionale dello Stato italiano). La  nostra giustizia, contrapposta a quella dei ricchi.

 

Il banditismo come fenomeno sociale di rivolta

Il brigantaggio e il banditismo sono primissime forme di rivolta sociale organizzata, forse le più primitive che si conoscano. Il fenomeno del banditismo si è diffuso, per poi evolversi, nelle società contadine. È all’interno delle comunità rurali che i banditi sono stati protetti, idealizzati come eroi e hanno ricevuto, nel corso dei secoli, il tributo dell’aneddotica e dei canti popolari.

Il bandito non è un un uomo qualunque e neanche un semplice fuorilegge. È un uomo deciso, un soggetto sociale immerso in una società classista, che vive nella miseria e nel dramma della vita contadina. Il bandito è un individuo che ha dovuto fare i conti con una scelta: sottomettersi e unirsi agli oppressori, oppure ribellarsi a loro.

 

Perché si diventa banditi?

Nella maggior parte dei casi si diventava banditi quando si commetteva qualcosa che, pur non essendo considerata criminale dalla coscienza popolare, invece lo era per lo Stato o per i governanti locali. La ”carriera” di un bandito ha avuto quasi sempre origine da un fatto in sé non grave, ma che lo ha spinto necessariamente alla latitanza, alla macchia: una falsa testimonianza, un errore giudiziario, un’ingiusta assegnazione  al confino.

Con le sue azioni, il bandito sociale non solo si ribella, ma sfida l’ordine economico, sociale e politico costituito. Sfida chi detiene o rivendica il potere, la legge o il controllo delle risorse di un determinato territorio, spesso quello dove è nato e cresciuto e dove morirà.

 

Il bandito ideale: un Robin Hood che prese al ricco per dare al povero

Possiamo dividere la storia del banditismo sociale in tre momenti. La sua nascita, quando le società pre-banditiche entrarono a far parte delle società basate sulle classi sociali e su strutture statali. La sua trasformazione, in seguito all’affermarsi del capitalismo. Infine, la sua lunga evoluzione, sotto vari tipi di Stati e di regimi.

Eric Hobsbawm definisce il bandito ideale come un ”ladro gentiluomo”, il Robin Hood difensore della giustizia e dell’equità sociale. Un ladro gentiluomo che si relaziona con i contadini secondo principi di solidarietà e identità totali.

È perseguitato dalle autorità perché giudicato criminale. Prende dal ricco, rapina e saccheggia i grandi signori proprietari terrieri e distribuisce tale ricchezza agli oppressi, alla sua gente. Grazie a questo atto, la banda o il singolo bandito riceve tutta la stima e la protezione della popolazione locale. Diventa un membro della comunità vero e proprio: rispettato, ammirato e appoggiato. Quasi mai la popolazione aiuta le autorità a catturare il bandito contadino. È quello che avviene nei villaggi siciliani del 1940.

Anche se in parecchie occasioni i banditi diventavano tali a seguito di questioni politiche o di problemi con la legge, essi cercarono sempre di adeguarsi alla figura, al modello dell’«uomo che prese dal ricco per dare al povero e non uccise mai se non per legittima difesa o giusta vendetta». Questa scelta era obbligata. Intanto perché, per ovvi motivi, c’è più da prendere dal ricco che dal povero. In secondo luogo perché, rubando al povero o commettendo un omicidio illegittimo, perderebbe tutta la sua protezione.

 

Il legame col territorio

L’attaccamento al proprio territorio, generalmente quello in cui il bandito è nato e cresciuto, è una componente molto importante di questa figura. Lì il bandito riceve protezione, viene rifornito del necessario, è legittimato a lottare contro l’ordine costituito. Giuliano, ad esempio, visse e morì nel suo stesso paese: Montelepre. Fu così anche per i banditi Valvo, Lo Cicero e Di Pasquale, vissuti e morti rispettivamente a Montemaggiore, a Capraro e a Sciacca.

 

La narrazione dominante: come uccidere un bandito

La storiografia ufficiale, nel corso dei secoli, è riuscita a declassare la storia dei briganti e dei banditi siciliani a pura criminalità. Più che di una faccenda personale, come sempre è stato descritta, quello del banditismo è a tutti gli effetti un fenomeno sociale che, nella società pre-capitalistica, ha posto limiti all’oppressione e alla miseria. Una forma di rivolta che ha innescato un vero e proprio scontro di classe, il cui impulso ha segnato la storia e gli assetti attuali della nostra società. La rivolta di contadini che si sono opposti all’ordine costituito per difendere la propria terra e la propria gente.

La fine tipica del bandito avviene per meschino tradimento. In questo modo, nel 1950, trovò la morte Salvatore Giuliano di Montelepre, il più famigerato fra i banditi moderni. La legge, nonché lo Stato,per dissimulare la propria impotenza di fronte a forme di opposizione sociale di tale portata, rivendica a sé la cattura o la morte: così, la polizia spara sul cadavere di Giuliano e di molti altri briganti. La prassi è così comune che c’è perfino un proverbio che recita: «ucciso dopo morto come un bandito».

Un pensiero su “Il fenomeno sociale del banditismo in Sicilia

  1. Bisognerebbe chiedere a Bernardo Mattarella il resoconto del tradimento di Pisciotta, Lui in primis come l’attuale figlio puparo per eccellenza sa la motivazione e a differenza di Pier Santi (Onore!) erano contro e sono da sempre contro sviluppo e indipendenza della Sicilia, nei miei prossimi episodi della storia da parte dei Vinti , racconterò modalità e condanna a morte di Salvatore Giuliano

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